Il welfare? Un mix di pubblico, no profit e privato

Articolo di · 2 dicembre 2021 ·

Chiara Saraceno: “Il welfare sociale funziona bene quando riesce a mettere insieme il pubblico, fondamentale perché la garanzia dei diritti non può prescindere da esso, con la ricchezza dell’associazionismo privato, fino a coinvolgere anche la responsabilità del privato di mercato”.

 

Con il termine “welfare” si intende “benessere”, ovvero tutte quelle prestazioni rientranti nell’ambito della tutela della persona che in una società si attivano quando un cittadino o un lavoratore si ammala, vive un infortunio, subentra l’invalidità, la disoccupazione, la vecchiaia, o, eventi quali la maternità o paternità, facendo riferimento oltre che al benessere anche alla salute e alla prosperità.

Quando si parla di politiche di welfare, dunque, si vuole identificare una serie di prestazioni (ne sono un esempio l’istruzione e la sanità pubblica) e benefit che rispondono alle esigenze delle persone, tutelandole e supportandole dall’infanzia all’anzianità.

In aggiunta a quello pubblico, negli ultimi anni sono nate altre tipologie di welfare che si pongono l’obiettivo di integrare, sostituire o fornire un’alternativa al primo, definite sussidiarie.

Tra queste, rientra il welfare aziendale, ossia il complesso delle erogazioni e prestazioni che un’azienda riconosce ai propri dipendenti con lo scopo di migliorarne la vita privata e lavorativa.

Il welfare aziendale risulta molto importante ma occorre che integri e non sostituisca quello pubblico – dichiara Chiara

Chiara Saraceno – Sociologa

Saraceno, sociologa e presidente del Comitato scientifico per la riforma del reddito di cittadinanza del Governo Draghi – È molto importante che le aziende si preoccupino del benessere dei lavoratori come, ad esempio, tutto quello che concerne l’educazione e la custodia dei bambini, o che aumentino o paghino di più i congedi parentali. Con il termine welfare, quindi, si fa riferimento a tutta una serie di iniziative che mostrano attenzione alle esigenze dei lavoratori al di fuori dell’orario di lavoro, e quindi anche ai problemi di conciliazione. Rispetto all’argomento – continua la sociologa – non si possono però non considerare alcuni rischi. Esiste, infatti, una dimensione del welfare aziendale che troppo spesso baipassa il pubblico: se non funziona viene sostituito. Ma questo risulta rischioso! Se il welfare aziendale diventa una surroga di quello pubblico, invece di liberare risorse per investire maggiormente nel pubblico, diventa un modo per disinvestire da esso e, dato che il welfare aziendale è in parte finanziato dalla defiscalizzazione, di fatto è  finanziato, in una certa misura, dal pubblico. Personalmente sono dell’avviso che tutto ciò che è in più rappresenti un fringe benefit aggiuntivo ma se è in sostituzione, diventa un criticità. Non parliamo quindi di un problema di welfare aziendale ma di come viene utilizzato e anche finanziato”.

La Mutua sanitaria Cesare Pozzo opera anche nell’ambito del welfare aziendale attraveso Welf@reIN, un’impresa sociale, senza scopo di lucro, nata da CesarePozzo e Mutual Help per mettere al servizio delle aziende l’esperienza maturata nel campo del welfare sanitario. Aiutando le aziende ad amplificarne gli effetti, Welf@reIN opera per l’interesse generale con finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, supportando le imprese in tutte le fasi di realizzazione del piano di welfare: dalla pianificazione alla gestione.

I luoghi come la scuola e l’asilo non sono soltanto territori nei quali viene offerto un bene o un servizio come la cura del bambino o della persona non autosufficiente, ma sono anche presidi di comunità e antenne sul territorio. Per questo, è importante che siano diffusi e che rappresentino un’occasione di scambio tra le persone. In questi spazi, ad esempio, i genitori si incontrano e i ragazzi si conoscono: si costruiscono, quindi, società, reti di solidarietà  e relazioni che possono proseguire nel tempo. In questo senso, tali luoghi dovrebbero essere intesi e vissuti come presidi di comunità continua Saraceno – E, tutta la rete che c’è attorno deve funzionare: occorre costruire partendo da questi servizi pubblici, dalle reti di azione, dai luoghi di intervento che consentono alle persone di navigare nella società in cui vivono trovando risposte ai propri bisogni”.

Il welfare quindi, secondo Saraceno “è un insieme di pubblico e non profit ma anche di profit: ci sono aziende che intervengono nel benessere della comunità in cui sono insediate, lavorando con il pubblico e il non profit, e questo è un bene: la responsabilità sociale delle imprese riguarda prima di tutto i propri lavoratori ma contribuisce anche al benessere della comunità nella quale si sta collocando. Il welfare sociale funziona bene quando riesce a mettere insieme il pubblico che è fondamentale, perché solo esso garantisce i diritti, ma anche la ricchezza dell’associazionismo privato, fino a coinvolgere la responsabilità del privato di mercato” – conclude Saraceno.


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