Bilancio di welfare delle famiglie italiane 2022 di Cerved: la spesa in welfare delle famiglie è stata di 136,6 miliardi di euro, più della metà assorbita da salute e assistenza agli anziani
Le famiglie italiane nel 2021 hanno speso in welfare 136,6 miliardi di euro, pari al 7,8% del reddito familiare netto e al 7,8% del PIL. Sono i dati che emergono dall’edizione 2022 del Bilancio di welfare delle famiglie italiane pubblicato da Cerved.
L’indagine di Cerved sulla spesa di welfare delle famiglie italiane è stata effettuata a partire da un campione di 4.005 famiglie, scelte in base a reddito familiare, professione, composizione del nucleo familiare, area geografica e dimensione del centro. Sono state analizzati il contributo dei sistemi di welfare pubblico e privato alle entrate della famiglie e la composizione della spesa in welfare per aree, bisogni e servizi.
Più del 50% della spesa per prestazioni di welfare è assorbita dalle aree della salute (38,8 miliardi) e dell’assistenza agli anziani e ad altri familiari bisognosi di aiuto (29,4 miliardi), seguite dalle spese per trasporti, pasti e mobilità (25 miliardi), istruzione dei figli (12,4 miliardi), assistenza familiare generica (11,2 miliardi), previdenza integrativa e protezione assicurativa (8,3 miliardi), educazione prescolare e cura dei bambini (6,4 miliardi), cultura e tempo libero (5,1 miliardi).
Il rapporto registra una contrazione della spesa nell’anno 2020 a causa delle restrizioni provocate dalla pandemia (soprattutto per assistenza ai bambini ed educazione prescolare, assistenza familiare e spesa per la cultura e il tempo libero, ma anche per la salute), una crescita nel 2021, senza però complessivamente raggiungere i livelli pre-crisi.
Secondo il rapporto, mediamente tutte le 25,7 milioni di famiglie italiane nel 2021 hanno speso 1.510 euro per la salute, mentre le 2,1 milioni di famiglie che hanno sostenuto spese nell’area dell’assistenza hanno speso in quest’area ben 13.780 euro. Le 2,1 milioni di famiglie con bambini in età prescolare hanno sostenuto una spesa media di 3.000 euro per cura ed educazione dei figli, le 4,4 milioni di famiglie che utilizzano servizi di assistenza familiare (colf) hanno speso mediamente 2.600 euro in quest’area.
Per l’istruzione, fruita da 6,2 milioni di famiglie, la spesa ha avuto un costo medio di 2.000 euro. Solo un terzo delle famiglie possiede coperture assicurative e previdenziali e poco più della metà (14 milioni) ha sostenuto spese per cultura e tempo libero, mediamente per soli 360 euro.
Colpisce il fatto che, nel 2021, più della metà delle famiglie (50,2%) ha rinunciato parzialmente o completamente a prestazioni sanitarie. Il rapporto Cerved rileva come sia “molto forte la correlazione tra rinuncia e condizione economica della famiglia: tra le più deboli la quota di rinunce definite rilevanti raggiunge il 19,7%, contro il 5,1% delle più abbienti”. Parte delle rinunce è attribuita a motivi emergenziali (timori di contagio, sovraccarico del sistema sanitario, disdette da parte degli ospedali), ma il 27,3% ha comunque dichiarato di aver rinunciato alle cure per motivi economici. Il trend della spesa sanitaria media per famiglia è in costante aumento (da 1.336 euro nel 2017 a 1.510 euro nel 2021).
Il Bilancio di welfare delle famiglie italiane rileva rinunce a prestazioni di welfare anche nelle altre aree analizzate, con picchi nel 2020 dovuti alla pandemia di Covid-19. Nel 2021 il 56,8% delle famiglie con anziani e altre persone bisognose di aiuto ha rinunciato a prestazioni di assistenza (il 22% in modo rilevante). Il 47,2% delle famiglie con bambini ha rinunciato a prestazioni di assistenza ed educazione prescolare (il 18,9% in misura rilevante). Il 33,8% delle famiglie con figli in età scolare ha rinunciato a spese di istruzione (rilevanti per l’11,9%).
I motivi di queste rinunce, secondo Cerved non sono solo economici (21,7% del totale delle famiglie e 38,9% di quelle a basso reddito), ma anche dovute alla non disponibilità dei servizi richiesti (31,9%) o alla qualità ritenuta insoddisfacente (29,5%). Esemplificativo il caso dell’assistenza agli anziani, in cui la domanda richiede servizi di welfare che permettano loro di rimanere nel contesto domestico, si scontra spesso con l’assenza di assistenza domiciliare qualificata. Secondo Cerved quindi “esiste un vuoto di offerta in relazione ai bisogni delle famiglie”.
La famiglia è utente dei servizi di welfare, ma è anche la struttura base del sistema di welfare, “la rete primaria di protezione sociale”. La famiglia sta cambiando, “nella struttura demografica, nei comportamenti di relazione, nel rapporto tra i generi e le generazioni”. È questo cambiamento che, secondo Cerved, determina in gran parte l’evoluzione dei bisogni e della spesa di welfare. Gli elementi di crisi non sarebbero da interpretare esclusivamente “come effetto squilibri di demografici e finanziari che riducono la capacità di prestazione delle istituzioni del welfare pubblico, né come mera conseguenza di un lungo ciclo di politiche di bilancio restrittive”, bensì alla luce del cambiamento della famiglia, sempre più atomizzata, fragile nell’esercitare il suo ruolo di protezione sociale, e allo stesso tempo con bisogni che vanno espandendosi e differenziandosi (famiglie con anziani, monogenitoriali, monocomponenti, ecc.).
L’invecchiamento della popolazione è uno dei fattori principali di questo cambiamento. Quattro milioni di anziani, il 28,9% del totale, vivono soli (il 16% delle famiglie italiane). La frammentazione delle strutture familiari pone un problema di assistenza, a fronte del fatto che il 67,3% di questa è tuttora a carico esclusivo dei familiari, senza intervento di servizi di welfare domiciliari o residenziali.
Un altro tema posto dal cambiamento della struttura familiare è quello della conciliazione vita-lavoro: le pari opportunità passano anche dal sostegno alla famiglia.
La spesa complessiva di welfare, pubblica e privata, nel 2021 ha raggiunto il 44,7% del PIL, l’80% di essa è rappresentata da spesa pubblica, il 20% da spesa privata, di cui il 17,4% a carico delle famiglie e il 2,7% di welfare aziendale e collettivo (fondi previdenziali e sanitari).
Il rapporto Cerved cita il Welfare Index PMI 2021 secondo il quale le imprese con i più alti livelli di welfare aziendale ottengono risultati di redditività, produttività e livelli occupazionali superiori alla media, e indica che il “welfare aziendale è in grado di apportare nuove risorse, oltre che nuovi modelli di comunità e di servizio, al rinnovamento del sistema di welfare italiano”.
Il contributo del welfare privato è la quarta voce di entrata delle famiglie (dopo redditi da lavoro, ammortizzatori sociali e sussidi statali): si tratta di 20,1 miliardi l’anno, il 2,7% del reddito familiare netto, suddivisi fra prestazioni assicurative e fondi complementari previdenziali e sanitari per 9,4 miliardi (fra i quali rientranto i rimborsi e sussidi delle mutue sanitarie come CesarePozzo), prestazioni del welfare occupazionale sia previste dai CCNL, sia erogate volontraiamente o per contratto integrativo dalle aziende, per 6,6 miliardi (per favorire il quale sono attive anche imprese sociali quali Welf@reIN), e infine welfare privato di familiari e conoscenti, solidarietà personale, assegni per il mantenimento dei figli, per 4,9 miliardi.
Fra le varie proposte avanzate da Cerved per il welfare delle famiglie la prima è quella di scegliere il modello della sussidiarietà, perché “le soluzioni di welfare più efficaci sono, in prima istanza, quelle offerte dalle istituzioni private e pubbliche più vicine alle famiglie (enti locali, imprese impegnate nel welfare aziendale, organizzazioni del terzo settore)”. La seconda è quella di incoraggiare il welfare aziendale perché “apporta risorse aggiuntive al sistema di welfare del Paese. Le imprese impegnate nel welfare aziendale diffondono servizi di prossimità, aggregano la domanda delle famiglie e rendono più efficiente la spesa privata, canalizzandola su soluzioni collettive”.