L’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità di Cergas-SDA Bocconi: la spesa intermediata è solo il 3% di quella totale. La risposta integrativa mutualistica a sostegno del SSN
Dare risposte concrete, solidali e sostenibili ai bisogni sanitari e di welfare dei cittadini, integrando e sostenendo il Servizio sanitario nazionale. È lo scopo delle società di mutuo soccorso come CesarePozzo.
L’analisi delle caratteristiche e dell’andamento della spesa sanitaria, pubblica e privata, consente di comprendere il contesto, per meglio indirizzare le risposte ai reali bisogni dei cittadini.
L’Italia, fra i Paesi avanzati e con sistemi sanitari universalistici, è uno di quelli con i più bassi livelli di spesa sanitaria, pubblica e privata, pro-capite, sia in termini assoluti che in relazione al PIL.
La percentuale di spesa privata rispetto al totale (ca. il 26%) è in linea con quella di altri Stati a vocazione universalistica, con l’importante differenza che nel nostro Paese la spesa sanitaria privata non solo è completamente volontaria – in Germania e Francia, ad esempio, è rilevante la componente di spesa privata obbligatoria – ma, soprattutto, è quasi esclusivamente spesa out-of-pocket, vale a dire a carico diretto delle famiglie.
L’out-of-pocket rappresenta infatti ca. il 23% della spesa sanitaria totale pro-capite, mentre la spesa privata intermediata, cioè effettuata attraverso fondi sanitari, società di mutuo soccorso e assicurazioni, è solo il 3% circa.
Sono i dati contenuti nel capitolo dedicato ai consumi privati in sanità curato ogni anno dall’Osservatorio sui Consumi Privati in Sanità (OCPS) nell’ambito del Rapporto OASI 2020 del Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) di SDA Bocconi che da anni studia il settore sanitario.
Il basso livello di spesa sanitaria pro-capite, tuttavia, non è necessariamente un dato negativo, perché è anche un indicatore di efficienza del sistema sanitario. Come spiega Valeria Rappini, ricercatrice di OCPS: “il settore pubblico diventa sempre più efficiente, anche rispetto alle dinamiche del settore privato. Tra i Paesi a vocazione universalistica, la spesa pro-capite è più bassa in quelli con un servizio sanitario nazionale. Ciò non toglie – aggiunge – che il SSN italiano abbia bisogno di maggiori investimenti, perché negli ultimi anni la sanità pubblica è stata soggetta a una riduzione di risorse che rischia di comprometterne l’efficacia”.
A questo riguardo il ricercatore di OCPS Luigi Maria Preti, specifica che “la spesa sanitaria pubblica in Italia negli ultimi dieci anni è di fatto diminuita in termini reali, essendo cresciuta meno dell’inflazione”. Secondo i dati forniti dal Rapporto OASI del Cergas, in termini percentuali sul PIL la spesa sanitaria pubblica è passata, da 6,9% nel 2010 a 6,7% nel 2019, mentre in percentuale sulla spesa pubblica totale è diminuita dal 14,1% nel 2010 al 13,4% nel 2017.
La ricercatrice Marianna Cavazza sottolinea come “il Sistema sanitario nazionale ha bisogno di investimenti tecnologici, infrastrutturali e in risorse umane. Il personale sanitario ha un’età media elevata, di contro il numero di medici ma, soprattutto, di infermieri rispetto alla popolazione residente è basso”. I medici in Italia sono 4 ogni 1.000 residenti e gli infermieri 6,7 ogni 1.000. A titolo di esempio i numeri francesi sono rispettivamente 3,4 e 10,8 e quelli tedeschi 4,3 e 13,2, sottolineando come in questi Paesi sia anche in corso una ridefinizione delle rispettive competenze e una relativa redistribuzione delle competenze.
Questo il quadro generale del settore pubblico che va poi declinato sui territori, data la regionalizzazione che contraddistingue il SSN e che, nel recente contesto di pandemia, ha fatto emergere differenze e, a volte, i limiti di questa impostazione.
Rappini spiega che ad oggi “il bilancio della sanità pubblica in quasi tutte le regioni è in equilibrio finanziario”, mentre Preti indica che “la distribuzione delle risorse nelle Regioni è tutto sommato equa perché effettuata a partire da criteri oggettivi sulla base della popolazione residente, mentre sulle diversità dei sistemi sanitari regionali pesano anche ragioni storiche”. Per Cavazza “correggere le storture della regionalizzazione non significa dover tornare a un sistema pubblico completamente centralizzato. Quello che spesso sembra essere mancato – specifica – è stato la guida e l’indirizzo del sistema da parte dei governi centrali che si sono succeduti, in assenza dei quali le Regioni si sono spesso mosse in modo non coordinato”.
La pandemia ha rimesso la sanità al centro dell’agenda politica e spostato la bilancia pubblico-privato a favore del primo, sia con una nuova centralità del SSN nel dibattito politico, sia con un aumento della spesa corrente pubblica (+5 miliardi stimati per il 2020) e massicce campagne di reclutamento di personale medico e sanitario. Per il futuro saranno cruciali le risorse in arrivo grazie al Recovery Fund, e soprattutto, il modo in cui esse verranno impiegate.
C’è molto dibattito sui rapporti causali che nella sanità legano spesa pubblica e spesa privata. Se alcuni ricercatori individuano la causa della spesa privata nelle inefficienze del sistema pubblico, al Cergas sostengono di “non avere evidenze in questa direzione”. Secondo Rappini “la spesa privata è maggiore, dove il SSN funziona meglio. La correlazione è semmai con il reddito: la spesa sanitaria privata aumenta all’aumentare del reddito e le regioni più ricche hanno una sanità pubblica che funziona meglio”.
L’analisi della spesa privata comporta anche “un problema di perimetro dei dati”, come indica Preti. Secondo il rapporto OASI 2020 le stime di spesa sanitaria privata possono variare da 25,2 a 47,4 miliardi, ad esempio sottraendo ai dati delle fonti ufficiali (ISTAT, OECD, Eurostat, WHO) le agevolazioni fiscali, i ticket o le spese nelle RSA, oppure aggiungendo integratori e prodotti omeopatici o le spese di assistenza a disabili e anziani.
La composizione della spesa privata, aggiunge Preti, “varia a seconda del reddito. Il peso della componente farmaci (beni primari) si riduce al crescere del reddito a favore di consumi sanitari quali odontoiatria, attrezzature terapeutiche e servizi paramedici che si comportano come beni di lusso”.
Sulla scarsa propensione italiana alla spesa sanitaria intermediata, secondo i ricercatori del Cergas, pesano anche fattori culturali. “In Paesi a vocazione universalistica (Francia, Germania) – spiega Rappini – il sistema si basa principalmente su mutue o assicurazioni sociali obbligatorie e c’è quindi più consuetudine a tale tipo di spesa. In Italia l’approccio culturale tende ad aspettarsi tutto dal sistema sanitario pubblico universalistico. Diventa quindi più difficile fare intendere che in prospettiva il sistema pubblico non riesce a coprire ogni ambito della salute. La spesa intermediata, inoltre, ha anche un potere di indirizzo dei consumi sanitari”.
Gli italiani, aggiunge Cavazza: “stanno entrando nel mondo delle coperture integrative attraverso i datori di lavoro che assumono di fatto il ruolo di garanti dell’intermediazione. Oggi fra i lavoratori c’è maggiore consapevolezza dell’esistenza della sanità integrativa offerta dai fondi aziendali e di conseguenza un loro maggiore utilizzo”.
Generalmente i fondi integrativi basati su contratti di lavoro nazionali, a fronte di premi limitati, offrono coperture limitate: “il catastrofico e un po’ di specialistica”. I fondi costituiti nell’ambito di contratti aziendali invece offrono solitamente maggiori tutele.
Sull’aspetto del “catastrofico” tuttavia, il sistema pubblico è in grado di dare risposte efficaci. Dal punto di vista delle mutue, sarebbe quindi auspicabile una migliore definizione di sanità integrativa rispetto al SSN, anche al fine di evitare meccanismi sostitutivi, a volte propri dell’intermediazione assicurativa.
Uno dei problema dei fondi sanitari, come indica anche Cavazza, “è che le coperture vengono a mancare quando il lavoratore lascia il fondo”, perché perde il lavoro o va in pensione.
La risposta mutualistica in questo caso è la possibilità per la persona di continuare a ricevere assistenza sanitaria attraverso l’adesione volontaria e individuale alla Società di mutuo soccorso.
Nell’ambito della spesa intermediata, le mutue si differenziano rispetto ai soggetti assicurativi anche per altri aspetti quali la non selezione all’ingresso e la non esclusione per motivi di salute o anagrafici, l’assenza di scopo di lucro e la democraticità della governance.