Silenzio e terrore: il destino dei desaparecidos

Articolo di · 28 agosto 2020 ·

Le sparizioni forzate non sono più prerogativa dei regimi dittatoriali, ma sono diffuse anche in contesti caratterizzati da conflitti interni o da un clima di repressione politica e colpiscono soprattutto i difensori dei diritti umani, gli studenti, gli attivisti politici e i manifestanti che si impegnano in prima persona per l’abbattimento e il contrasto dei regimi oppressivi.

 

Vengono prelevate dalle loro case o per strada senza il loro consenso, in modo arbitrario e senza alcun mandato d’arresto da funzionari dello Stato o da persone che operano con l’assenso di questi ultimi.

Le vittime di sparizioni forzate spesso non vengono mai rilasciate e, in assenza di informazioni sulla loro ubicazione e sull’impossibilità di contattare un avvocato, vengono torturate e, a volte, uccise o vivono in prigionia nel costante terrore di morire. Le loro famiglie non sanno minimamente dove si trovano e difficilmente riescono ad ottenere aiuto da parte di qualcuno.

Secondo un recente rapporto di Amnesty International, oggi questo tipo di crimine non è più prerogativa dei regimi dittatoriali ma ha visto una rapida diffusione in diversi contesti caratterizzati da conflitti interni o da un clima di repressione politica. Ora come allora, i soggetti più colpiti sono i difensori dei diritti umani, gli studenti, gli attivisti politici e i manifestanti che si impegnano in prima persona per l’abbattimento e il contrasto dei regimi oppressivi. Obiettivo delle sparizioni forzate è seminare paura e insicurezza, portando i familiari delle vittime non solo a non esprimere dissenso nei confronti del governo ma anche a non denunciare la sparizione poichè i desaparecidos potrebbero essere torturati o uccisi.

Dal Messico alla Siria, dal Bangladesh al Laos, dalla Bosnia ed Erzegovina alla Spagna, dal Marocco al Pakistan fino all’Egitto, i numeri confermano il ricorso diffuso a questa azione criminale:

– in Siria dal 2011 circa 82.000 persone sono state vittime di sparizione forzata, la maggior parte delle quali all’interno di un ampio sistema di centri di detenzione governativi. Oltre 2.000 persone sono invece scomparse nelle mani dei gruppi armati di opposizione tra cui quello che si è auto denominato Stato Islamico. Inoltre, decine di migliaia di famiglie stanno disperatamente cercando di scoprire che fine abbiano fatto i loro cari e, nel giugno 2018, il governo ha confermato la morte di almeno 161 persone sparite nei primi mesi del conflitto.

– Lo Sri Lanka si classifica tra i paesi con i più alti numeri di vittime di sparizione forzata al mondo: oltre 60.000 a partire dalla fine degli anni Ottanta. Le sparizioni di massa di coloro che si sono arresi alla fine del conflitto interno confermano l’istituzionalizzazione di questa prassi, compresa la negazione di qualsiasi tipo di informazione alle famiglie da parte delle autorità statali.

Altro paese che porta in scena costantemente episodi di sparizioni forzate è la Libia. Il più recente caso è quello che ha visto il sequestro forzato dalla sua abitazione ad opera dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Enl) di Siham Sergiwa, parlamentare libica difensora dei diritti delle donne. Tale evento ha riportato alla memoria i rapimenti, le sparizioni forzate e le privazioni della libertà perpetrati nel paese da tutte le parti in conflitto, tra cui le forze governative, le autorità de facto, le loro milizie e i gruppi armati affiliati. Amnesty International ha inoltre documentato come le Forze del Radaa (forze speciali di deterrenza) abbiano sequestrato delle persone semplicemente perché nate nella parte orientale.

Nella storia delle sparizioni forzate, l’Argentina registra sicuramente il caso più eclatante di sequestri forzati del XX secolo: durante la dittatura militare durata dal 1976 al 1983, le forze di sicurezza hanno rapito circa 30.000 “dissidenti” o sospettati tali (9.000 accertati su 40.000 vittime totali, secondo i rapporti ufficiali del CONADEP – Commissione Nazionale sui Desaparecidos costituita con il ripristino della democrazia nel 1983) e la sorte della maggior parte di loro è del tutto sconosciuta.

Ragazzi, universitari, semplici pensatori, sequestrati per essere torturati e giustiziati.

Secondo alcune fonti, spesso testimonianze di militari coinvolti nell’operazione, molti desaparecidos furono imbarcati a bordo di aerei militari, sedati e lanciati nel Rio de la Plata, oppure gettati nell’Oceano Atlantico col ventre squarciato da una coltellata affinché i loro corpi fossero divorati dagli squali, i cosiddetti “voli della morte”, mentre altri furono carcerati in centri di detenzione clandestini, torturati e infine assassinati segretamente con l’occultamento delle salme in fosse comuni.
Negli anni del golpe militare, è passato alla storia per la sua atrocità anche il rapimento di donne in stato interessante oppure rimaste incinte a seguito delle violenze subite nei centri di detenzione: molte di loro hanno partorito mentre erano detenute, invece altre furono uccise e i loro figli vennero illegalmente affidati in adozione a famiglie di militari o poliziotti.

Le azioni messe in pratica durante il golpe argentino sono rimaste segrete per anni garantendo per lungo tempo al regime militare di rimanere invisibili agli occhi del mondo. All’estero, la percezione esatta di quanto stava accadendo si ebbe almeno dopo quattro o cinque anni dall’inizio della dittatura. Inoltre, la segretezza permetteva di terrorizzare la popolazione: la mancata diffusione di notizie sulla sorte degli arrestati limitava non solo ogni possibile dissenso al regime ma anche la semplice richiesta di notizie da parte dei parenti.
Il ritorno della democrazia nel 1983 ha permesso alle istituzioni argentine di portare alla luce le atrocità commesse dal regime militare e consentire la condanna di ex funzionari  della giunta militare che, per i reati strettamente politici, erano stati prosciolti o amnistiati sulla base del loro obbligo di obbedire agli ordini all’epoca dei fatti attraverso la cosiddetta legge della “obbedienza dovuta”.

La denuncia e la scoperta degli orrori avvenuti in Argentina durante il regime militare si deve anche all’azione delle Madri di Plaza de Mayo e delle Nonne di Plaza de Mayo, madri dei giovani desaparecidos e nonne dei figli dei desaparecidos che con una protesta pacifica, ancora oggi attiva, sfidando il regime, sono riuscite a far conoscere all’opinione pubblica il dramma che stava avvenendo nel loro Paese. Ancora oggi, con le loro azioni e manifestazioni, le Madri chiedono verità e giustizia per i loro figli scomparsi e, con il supporto di organizzazioni, lottano perché venga riconosciuto il reato di sparizione forzata, commesso sia da agenti dello Stato sia da attori non statali, e venga abolita qualsiasi forma di impunità o amnistia nei confronti di chi si sia macchiato di un crimine così grave.

Il fenomeno delle sparizioni forzate è stato riconosciuto come crimine contro l’umanità dall’articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1998 per la costituzione del Tribunale Penale Internazionale e dalla risoluzione delle Nazioni Unite numero 47/133 del 18 dicembre 1992.
Data l’attualità del fenomeno, il 29 giugno 2006, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite ha approvato il progetto di una Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata, firmata da 97 Stati membri e ratificata da 58, entrando in vigore nel dicembre 2010. Obiettivo del Consiglio è stato non solo quello di dare una definizione precisa di “sparizione forzata” ma anche di fornire gli strumenti necessari per combattere ed arginare il fenomeno. Attraverso la stessa risoluzione che ha dato vita alla Convenzione, è stato stabilito il 30 agosto quale Giornata Internazionale delle vittime di sparizioni forzate dal 2011.


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