Chiusura ai parenti e nessun nuovo inserimento: in Lombardia l’esperienza di CRM coop. sociale
RSA, una sigla, quella riferita alle residenze sanitarie assistenziali, che evoca il grande dramma del coronavirus. Ancor più in Lombardia dove, dal 20 febbraio al 20 maggio, nella sola area milanese sono morte di covid 1273 persone, mentre il 40% degli operatori, a fine aprile, era assente per motivi legati alla sua diffusione (fonte ATS Milano).
Secondo i dati presentati da ATS Milano l’11 giugno nelle provincie di Milano e Lodi da gennaio ad aprile, tra i maggiori di 70 anni si sono registrati 5.500 decessi in più rispetto alla media dei quattro anni precedenti. Di questi decessi ben il 46% è avvenuto nelle RSA. Nelle RSA delle due provincie complessivamente è deceduto il 22% degli ospiti, con una mortalità 2,5 volte più elevata degli anni passati.
Non in tutte le RSA però si sono registrati gli stessi numeri e si sono adottate le stesse politiche. CRM coop. sociale, ad esempio, ha seguito fin da subito una linea di prudenza, riuscendo, per quanto possibile, a limitare la diffusione del coronavirus nelle strutture gestite. La cooperativa si occupa prevalentemente di assistenza, cura e riabilitazione per anziani, disabili, minori e servizi per il lavoro, e gestisce, oltre che RSA, anche centri per disabili e servizi diurni.
Il presidente della cooperativa, Antonio Musto, spiega che già a gennaio “ci siamo resi conto che si stavano diffondendo patologie che non erano banali polmoniti e, consci di quello che stava succedendo in Cina, abbiamo iniziato ad attrezzarci con approvvigionamenti di dispositivi di protezione individuali (dpi). A Codogno a fine febbraio è diventato poi chiaro che si trattava di un’infezione virale”.
Musto ricorda come nessuno si aspettasse un così immediato sviluppo dell’epidemia: “abbiamo dovuto confrontarci con una situazione mai registrata al mondo – ammette – che ci ha colpito tutti di sorpresa. Si pensava che sarebbe durata 15-20 giorni e invece è proseguita per due mesi e mezzo”.
La scelta di CRM cooperativa sociale è stata di chiudere subito gli accessi ai parenti: “per preservare i nostri anziani e i nostri disabili, il 24 febbraio abbiamo chiuso la RSA di Marcignago (PV) e entro pochi giorni tutte le altre, così come la Rsd per disabili gravi”.
L’8 marzo, l’ormai famosa delibera di Regione Lombardia, consentiva alle RSA di ospitare pazienti covid “a bassa intensità”, senza tuttavia indicare, a differenza di altre regioni, precisi requisiti di prevenzione e sicurezza. Anche in questo caso la risposta della cooperativa è stata improntata a prudenza. Crm ha scelto di non effettuare nessuno nuovo inserimento, salvo due casi particolari accertati non covid a seguito di tampone. “L’ordinanza della Regione, nata dall’ignoranza dell’evoluzione del covid, – sostiene Musto – è stata poco lungimirante”.
Una scelta drastica quella di CRM che, sebbene non abbia lasciato indenni le strutture della cooperativa, ha consentito di contenere contagi e decessi su livelli inferiori a quelli medi della Lombardia. “Nonostante questa buona pratica, nonostante le mascherine, i guanti e gli altri dpi, il virus è entrato anche da noi, forse tramite qualche operatore asintomatico o forse perché presente già prima della chiusura delle strutture”.
Le quattro Rsa gestite dalla cooperativa dispongono dai 60 agli 85 posti letto e hanno registrato un 15% di decessi. Di contro, ci sono anche stati casi eccezionali di anziane di 100 e 106 anni contagiate e guarite. La residenza per i disabili, invece, non è stata toccata dal coronavirus: “li abbiamo barricati dentro – dice Musto con un certo orgoglio – e li abbiamo mantenuti indenni”.
“Siamo riusciti a mantenere il contagio entro limiti ragionevoli – prosegue Musto – Abbiamo dovuto combattere anche con il blocco degli ospedali, con le terapie intensive quasi al collasso e le sub-intensive intasate, che non ci facevano ben sperare sul recupero di anziani con sintomi, magari lievi. Persone vulnerabili con patologie plurime non le abbiamo mandate in ospedale, ma le abbiamo trattate direttamente noi. Abbiamo consumato decine e decine di bombole di ossigeno”.
“Il problema più grosso – ricorda Musto – è stato il reperimento dei dpi, nonostante ci fossimo mossi con anticipo. La produzione era tutta in Cina, non si trovavano e i prezzi erano andati alle stelle. Abbiamo pagato mascherine chirurgiche che prima costavano 20 centesimi, fino a 2,50 euro l’una”.
Ben 80 su un totale di 400 operatori socio-sanitari, i soci lavoratori di CRM, si sono ammalati e, spiega Musto, “abbiamo ancora oggi problemi legati ai lavoratori, perché molti dei guariti non stanno ancora bene. Non sappiamo neanche quali saranno le conseguenze a lungo termine dell’infezione da covid”.
Crm ha vissuto tante situazioni di paura fra gli operatori, paura di infettarsi e paura di infettare i propri famigliari. È anche successo che qualcuno sia dovuto rimanere in quarantena perché il partner era un operatore sanitario ammalato. Alcuni lavoratori sono passati volontariamente dai servizi chiusi dei centri diurni alle RSA per fronteggiare i picchi. “Abbiamo ricevuto anche aiuti di operatori esterni, medici della protezione civile e operatori della Croce Rossa che ringraziamo”. “Più problematica – aggiunge Musto – la fornitura completamente insufficiente di dpi da parte della protezione civile (a metà maggio CRM aveva sostenuto 180 mila euro di costi per dpi)”.
Rimane inoltre un po’ di preoccupazione per il futuro e si è già dovuti ricorrere alla cassa integrazione. Le risorse della cooperativa provengono dalla quota sanitaria della Regione, cui si affianca la quota famiglia. Per la prima c’è incertezza sui criteri di rendicontazione di questi mesi eccezionali, i cui termini sono stati posticipati, mentre la seconda è diminuita a seguito dei decessi. A ciò si aggiunge la chiusura dei servizi diurni (semiresidenziali, fisioterapie).
Musto non risparmia critiche alla gestione della crisi di Regione Lombardia, “famosa per la sanità come fiore all’occhiello, questa volta è stata carente”. Non vuole entrare nella polemica sanità pubblica o privata, sottolinea però che “i servizi territoriali e la medicina territoriale sono stati ridotti al lumicino. Qui c’è una buona rete ospedaliera, ma senza medicina di territorio, senza raccordo tra servizi socio-sanitari e ospedali. Si spera che verrà rivalutata la figura del medico di medicina generale, al momento utilizzato in Lombardia soprattutto per fare le ricette e inviare i pazienti a fare esami e visite. Va recuperato il rapporto fra questi e l’ospedale”.
La patologia, secondo Musto, andava curata fuori dall’ospedale, incentivando i servizi domiciliari e riducendo le terapie intensive, e “invece hanno lasciato la medicina territoriale così com’era. Nulla di preventivo è stato fatto nelle giornate precedenti alla fase acuta. Non sono state fornite risorse ai comuni per i servizi domiciliari. Non ci sono incentivi per la medicina territoriale. Le Usc (unità sanitarie di crisi) hanno fatto fatica a partire”.
Crm si sta attrezzando per fronteggiare l’eventuale seconda ondata con approvvigionamenti di dpi e anche con spazi per gli operatori che, volontariamente, decidessero di non tornare a casa per non rischiare contagi alle famiglie, oltre che con la consulenza di un infettivologo: “dobbiamo prepararci per il futuro e non solo per il covid. Anche per potenziali altri virus”.
Certo è che le situazioni vissute in questi mesi sono state molto difficili: la gestione dei rapporti fra figli e genitori anziani, o fra genitori e figli disabili, il dramma dell’ultimo saluto alle persone decedute. Musto, ricordando le salme portate via a Bergamo dai militari, spiega che nelle RSA gestite dalla cooperativa si è almeno riusciti ad assicurare, a distanza, un’ultima visita. “Sono scene che non si dimenticano facilmente”. Di contro ci sono però i guariti che danno un senso a tutto questo e, fra di loro, le situazioni eccezionali delle ultracentenarie. “Non so se siamo stati bravi noi – conclude Musto – o miracolati loro. Abbiamo lavorato per qualcosa, abbiamo fatto il nostro mestiere”.