Figure chiave per la Società di mutuo soccorso dei macchinisti e fuochisti (oggi Mutua sanitaria Cesare Pozzo), la Lega delle cooperative e la Fimiv
Carlo Romussi (1847-1913) e Antonio Maffi (1850-1912). Due figure molto importanti nei primi anni della Mutua sanitaria Cesare Pozzo e non solo. Entrambi sono stati centrali anche nella storia del movimento mutualistico e cooperativo, oltre che personaggi di spicco della politica di quegli anni.
Il primo fu avvocato, giornalista, anima del mutuo soccorso e della cooperazione milanese e italiana; il secondo fu il primo deputato operaio del Regno, fra i fondatori del Partito dei Lavoratori italiani (poi Partito Socialista), presidente della Federazione delle cooperative italiane (poi Lega nazionale della cooperative italiane) e della Federazione italiana delle società di mutuo soccorso (oggi FIMIV ).
Carlo Romussi e Antonio Maffi nella Società di mutuo soccorso fra macchinisti e fuochisti
Nella lunga storia della Mutua sanitaria Cesare Pozzo, Romussi si distingue per aver redatto il primo Manifesto, nel quale i promotori macchinisti e fuochisti invitavano i colleghi ad aderire al nascente Sodalizio e che così si concludeva: “Unitevi tutti con noi, se volete compiere qualche cosa di utile; perché è coll’unione di tutti, che noi, poveri e deboli come siamo, se isolati, potremo diventare una forza”.
Opera di Romussi anche il primo Statuto (datato 1878) della Mutua, allora Società di mutuo soccorso fra macchinisti e fuochisti delle Ferrovie Alta Italia, ma già nel 1885 Società di mutuo soccorso fra macchinisti e fuochisti delle Ferrovie italiane, riunendo lavoratori di più compagnie ferroviarie, all’epoca più di una e per la maggior parte private.
Entrambi i documenti, Manifesto e Statuto, manoscritti con correzioni autografe, sono conservati nell’Archivio Carlo Romussi. Dalle pagine de Il Secolo, inoltre, Romussi segue le vicende della Mutua e dà voce alle rivendicazioni dei ferrovieri. Per molto tempo, a partire dalla fondazione della Società nel 1877, Carlo Romussi vi ricopre la carica di presidente onorario, ad un certo punto affiancato anche dall’avvocato Antonio Pacetti e dallo stesso Antonio Maffi.
Anche quest’ultimo, in realtà, legato alla Mutua fin dai primissimi anni. Come Romussi, Maffi partecipa spessissimo alle assemblee e a volte le presiede. Eletto deputato nel 1882, si fa promotore in Parlamento delle istanze del personale di macchina delle ferrovie. Erano anni in cui il sindacato non esisteva ed era, anzi, per tramite delle società di mutuo soccorso delle varie categorie di ferrovieri che questi lavoratori iniziavano a confrontarsi con le compagnie ferroviarie.
Fu proprio da questi Sodalizi mutualistici che, a partire dagli anni ’90 dell’Ottocento, si costituiranno i primi sindacati. Nel frattempo le società di mutuo soccorso, compresa quella dei macchinisti e fuochisti, svolgevano anche un ruolo rivendicativo (società di “resistenza” o di “miglioramento”, si diceva).
In questo quadro si pone l’azione di Maffi a tutela dei diritti del personale di macchina: “ufficiale di collegamento”, purtroppo senza grandi effetti pratici, fra la Macchinisti e Fuochisti e il Parlamento, attraverso discorsi, interpellanze, interrogazioni, mozioni.
Cesare Pozzo: il Memoriale sulle condizioni di lavoro dei macchinisti e fuochisti

Il Memoriale redatto da Cesare Pozzo
È Maffi per esempio a spingere la Mutua inviare a tutti i deputati un Memoriale sulle condizioni di lavoro dei macchinisti e fuochisti (stipendi, orari, malattie, incidenti, dormitori, ecc.). La redazione di questo Memoriale, di cui esistono due versioni del 1883 e del 1884, è il primo incarico importante conferito al socio macchinista Cesare Pozzo che diventerà presidente nel 1886.
Con citazioni oggi invidiabili in un lavoratore che interrompa gli studi a 16 anni, Pozzo scrive nel preambolo: “Onorevole Deputato quando, riandando su le severe pagine della storia, ci soffermiamo a riflettere sulle storiche virtù di tante anime ferite, che seppero romanamente vivere e romanamente morire; quando, nell’illusione della nostra fantasia, ci appaiono dinanzi le austere e grandi figure d’Arnaldo, Savonarola, Bruno, Mazzini e tutti quei forti caratteri, formanti l’aureola luminosa del martireologio della causa redentrice dell’umanità sofferente, noi ci sentiamo battere fortemente il cuore, sotto l’impressione di lieti e, nel tempo istesso, tristi ricordi. Di fronte a tanta grandezza di virtù, a tanto sacrificio, a tanta costanza, noi ci troviamo meschini pigmei. Se non che, per noi modesti soldati del lavoro, più delle storie delle guerre e delle battaglia del pensiero, stringente c’incalza un’altra lotta, non meno aspra, la lotta per l’esistenza. Si rivolga, per poco, lo sguardo ed il pensiero, ad un uomo, vero pioniere della civiltà e del progresso, che intrepido soldato, dì e notte, sfida le perturbazioni della natura sconvolta, fra mille pericoli cimenta la vita e sul quale pesa tanta responsabilità, sin ora non apprezzata – e tale è il Macchinista ferroviario”.
Carlo Romussi: non un giornalista qualsiasi
Tornando a Romussi e Maffi, si è accennato alla loro rilevanza per l’Italia di quel periodo e, in qualche modo, anche per i successivi sviluppi storici. Brevi cenni biografici aiutano a coglierne il senso.
Il primo è avvocato di studi, ma giornalista di professione. Autore di diverse commedie e romanzi, inizia come critico teatrale nel 1872 a Il Secolo, il quotidiano milanese di orientamento democratico-radicale dell’editore Sonzogno, diretto dal futuro premio Nobel per la pace Ernesto Teodoro Moneta.
Il Secolo non è un giornale qualsiasi. È il principale quotidiano italiano. Primo a usare il telegrafo per comunicare le notizie alla redazione, la tiratura nel 1882 arriva a 100.000 copie – altro primato in Italia – e per anni si mantiene sopra quei livelli. Il rivale conservatore Corriere della sera, fondato nel 1876, riuscirà a scalzarlo dal podio solo nel 1906.
E Romussi non è un giornalista qualsiasi. Presto diventa l’anima della cronaca cittadina, nel 1885 è redattore capo, nel 1896 sostituisce Moneta alla direzione, mantenendola fino al 1909.
La nascita della Lega delle cooperative
A Milano l’attività all’interno della Macchinisti e Fuochisti non è l’unica in una Società di mutuo soccorso, semmai è una delle tante. Romussi è, infatti, il vero animatore del movimento mutualistico e cooperativo meneghino. Si deve a lui per esempio la fondazione del Consolato delle società operaie che riuniva molte società di mutuo soccorso.
Collabora e partecipa a molte società operaie, tra cui la Società Archimede tra lavoranti fabbri e meccanici, la Società Tintoretto di mutuo soccorso e di miglioramento per i lavoranti apprettatori, tintori, stampatori e affini e la Società edificatrice di abitazioni operaie, tutt’ora esistente, in cui ricopre anche la carica di presidente, spendendosi per la costruzione di abitazioni operaie. Famose le edificazioni negli anni ’80 in via Conservatorio, demolite nel 1967, e nel quartiere di Porta Vittoria (via Lincoln e via Franklin, ancora in piedi e oggi di gran pregio – colori pastello, ampie metrature, giardini privati, a due passi dal centro, difficilmente alla portata di portafogli operai).
Nel 1886 promuove il primo Congresso cooperativo italiano, da cui nasce la Federazione delle cooperative italiane – poi Lega nazionale delle cooperative – di cui mantiene per un anno la vicepresidenza. Nel 1887 assume la direzione del suo organo ufficiale, La Cooperazione italiana, mantenendola fino al 1895, quando la passerà ad Antonio Maffi.
Un duello, mancanto, con Filippo Turati
Proveniente da una famiglia dall’ottimo pedigree risorgimentale – nel 1848 il padre partecipa alle cinque giornate di Milano – Romussi è un borghese radicale, democratico e repubblicano. E garibaldino. Anche quando si trova a fianco dei lavoratori, rimane estraneo alle concezioni di lotta di classe e socialiste che in quegli anni si stanno facendo strada.
Giusto per dirne una. 1886: l’amicissimo Felice Cavallotti – che chiamava scherzosamente Romussi “il piscinella” per via della statura – accusa il Partito operaio e gli operaisti milanesi di ricevere finanziamenti governativi per sottrarre voti all’Estrema sinistra radicale. Da Depretis! Quello che Cesare Pozzo aveva definito sulle pagine de Il Friuli “il vignaiuolo di Stradella”, ricevendone in premio un trasloco punitivo in altra sede lavorativa. Romussi e Il Secolo rilanciano le accuse, pare infondate. Filippo Turati risponde duro, con “parole aspre”, su L’Italia. Risultato: rischiosissima sfida a duello, lanciata da Romussi e rientrata all’ultimo minuto, grazie all’intercessione di Moneta e dei rappresentanti operai del Comitato di soccorso. Si usava, benché ufficialmente vietato. Altri tempi. L’amico Cavallotti di duelli ne combatte un’infinità, finché, dai e dai, al 33° ci rimane nel 1898.

Cartolina per l’amnistia per i condannati politici del 1898. Turati è il primo da sinistra, Romussi il terzo
Con Turati, poi, le cose si sarebbero pian piano ripianate, pur rimanendo distanti politicamente. Nella bufera del maggio 1898 finiscono, insieme, a San Vittore. In quel frangente l’accusa, ben poco verosimile, a Romussi che sconta tredici mesi a Finalborgo, è di essere sovvertitore dell’ordine pubblico, ma il vero motivo sembrerebbe la campagna anticoloniale e antimilitarista de Il Secolo.
Nel 1904, Romussi viene eletto a deputato e riconfermato nel 1909, in una stagione politica che lo vede appoggiare il governo Giolitti.
Alla sua morte, durante la commemorazione alla Camera, Turati è il primo a parlare dopo il presidente Marcora: “Io non fui della sua schiera – dice – sebbene in alcuni momenti l’evento politico ci abbia strettamente congiunti su uno stesso terreno di lotta”. “Nessuno ha mai sospettato che nella sua azione covasse un movente meno nobile, non del tutto disinteressato, non inspirato soltanto alle sue idealità, da quelli che egli credeva gli interessi della sua parte, gli interessi della democrazia; di una democrazia largamente intesa da lui, come la riunione necessaria di tutte le forze di progresso contro un comune nemico” – aggiunge associando i socialisti al cordoglio. (Vivissime approvazioni dall’Aula).
Milano e la “monumentomania”
In ultimo non si può, senza far torto alla memoria, non citare l’amore per la sua Milano, di cui era profondo conoscitore (Milano ne’ suoi monumenti, Milano che sfugge, per citare un paio di suoi libri). Tra i fondatori del Museo del Risorgimento di Milano, esperto di medaglie, attivo nel Museo Archeologico, nella Galleria d’Arte Moderna, nella Fabbrica del Duomo, nell’Archivio municipale e nel Castello Sforzesco, in città sembra essere ovunque. E trova sempre il tempo di partecipare all’inaugurazione di lapidi e monumenti sul Risorgimento (l’amico Cavallotti parla di “monumentomania”).
Una stele al Cimitero Monumentale preme ricordare, non solo perché l’epitaffio è firmato Carlo Romussi, ma anche per il nome del defunto: “Cesare Pozzo / macchinista ferroviario / uniti i compagni i un pensiero / fu la voce vindice dell’anima loro / ardente amator di giustizia / non si stancò per amarezza / non cedette davanti a sacrifici / nell’orrenda bufera del maggio 1898 / sfiduciato scese volontario / nell’ombra della morte / come tutti i precursori / non vide il sole della terra promessa. / Qui le ceneri / nel cuore dei compagni / la perenne memoria”.
Antonio Maffi: un fonditore di caratteri
Alla commemorazione di Cesare Pozzo nel salone della Mutua di via San Gregorio a Milano, a più di un anno dalla morte dati i tempi difficili imposti dalla repressione del 1898, c’è però Antonio Maffi. Romussi è assente, per cause di forza maggiore, in galera. Come scrive l’Avanti! (31 luglio 1899) viene portata “l’adesione e il saluto scritto di Romussi e Filippo Turati che la questura vigila dai colpi d’aria”. Non che Maffi sia passato indenne dl ’98, ma in quei giorni è già uscito. La pena, scontata, è stata di quattro mesi e 3.000 lire di multa.
Partendo dagli inizi. Nel 1864 Maffi, dopo le scuole elementari e qualche lavoro saltuario, a 14 anni entra nell’officina tipografica dello stabilimento Civelli di Milano. Nel 1874 è segretario della Società dei fonditori di caratteri e diviene presto una figura di spicco del Consolato operaio, egemonizzato, come si è visto da personalità radicali e democratiche. Ne diventa segretario, insegnante nella sua scuola, direttore del suo organo, La Rivista operaia, dal quale polemizza (anche lui) con gli operaisti del POI. L’ambiente politco è lo stesso dei Romussi, dei Cavallotti, dei Marcora. L’estrazione sociale un po’ differente.
Deputato operaio (ma non socialista)
Grazie alla riforma elettorale del 1882 che estende il diritto di voto (si passa da un 2% della popolazione a un democraticissimo 7% ca.), nello stesso anno viene eletto alla Camera. Primo, e unico, deputato operaio. Vi rimane per un decennio. Tre legislature in cui si schiera le convenzioni ferroviarie che lasciano a compagnie private l’esercizio ferroviario (stessa battaglia della “Macchinisti e Fuochisti”); si adopera per la libertà di associazione e di sciopero; a favore delle organizzazioni operaie per la mutualità e la previdenza (artefice, ad esempio delle leggi sui probiviri e sulle cooperative di lavoro). Ma lo troviamo anche in contrasto con il socialista Andrea Costa – ad esempio non vota l’ordine del giorno di quest’ultimo per il ritiro delle truppe italiane dall’Africa.
Nella sua concezione politica, cerca di includere le organizzazioni dei lavoratori in un più vasto fronte democratico anche borghese, riunendo, stabilmente e elettoralemente, radicali, socialisti e repubblicani. Ci prova anche col nascente Partito socialista: è al congresso fondativo di Genova del 1892 e nel primo Comitato centrale, non per niente a lui si deve il primo nome di Partito dei Lavoratori Italiani, cambiato appena l’anno successivo. L’operazione unitaria non gli riesce, né sul lato mazziniano-repubblicano, né su quello socialista – e infatti lascia i vertici del neonato partito.
Cooperatore e mutualista
Terminata l’esperienza da deputato si allontana progressivamente dall’azione politica diretta, concentrando la sua attività nel movimento cooperativo e mutualistico, divenendone il principale protagonista. D’altronde da lì veniva, dalla Società dei fonditori di caratteri. Abitando in via Lincoln 26, a Milano, anche la casa era in cooperativa.
Della Federazione delle cooperative italiane (poi Lega) è guida indiscussa dal 1887 alla morte nel 1912 (presidente e poi segretario generale). Dirige, dopo Romussi, La Cooperazione italiana, ed è lui a far nascere nel 1900 la Federazione italiana delle società di mutuo soccorso (la futura Fimiv), divenendone presidente.
Anche da fuori il Parlamento continua a dare il suo contributo alla sviluppo della legislazione sociale, anche per tramite della Lega e della Federazione delle Mutue.
Così lo ricorda La Cooperazione italiana (supplemento al 12 marzo 1912): “È questa la storia delle leggi svariate riguardanti gli infortuni, il riposo festivo [ci si ricordi che non esisteva], l’Ufficio del lavoro, i probiviri, il lavoro delle donne e dei fanciulli, l’abolizione del lavoro notturno, la vecchia e l’invalidità degli operai, la Cassa di maternità, l’ispettorato del lavoro, gli appalti pubblici alle cooperative, l’organizzazione dei pescatori, i consorzi ecc.”. Ma anche la storia della rappresentanza dei lavoratori nei corpi consultivi dello Stato, del Consiglio superiore del Lavoro, delle riforme alla legge sulla Cassa nazionale di previdenza e della Cassa nazionale infortuni, dell credito cooperativo. Il modello è quello, molto pratico, di un confronto legalitario del movimento operaio con e dentro allo Stato.
Quando la notizia dell’improvvisa morte di Antonio Maffi piomba sulla Camera, è ovviamente Carlo Romussi il primo a prendere la parola per commemorarlo: “Egli era il consigliere e il capo di noi che militiamo sotto la grande bandiera delle redenzione degli umili mercé la previdenza e la cooperazione” (Vivissime approvazioni nell’Aula anche in questo caso).