La Mutua sanitaria Cesare Pozzo nel secondo dopoguerra

Articolo di · 25 ottobre 2017 ·

Riuscendo a impedire i progetti di assimilazione e di scioglimento voluti dal fascismo, la mutua dei macchinisti e fuochisti (attuale Mutua sanitaria Cesare Pozzo) ha sempre costituito un punto di riferimento per la categoria dei macchinisti e, dopo la liberazione, viene riorganizzata con successo.

Nel dopoguerra il settore mutualistico è segnato da una certa continuità con il fascismo. Il termine “mutua” mantiene il significato tipico degli anni del regime, indicando gli istituti di gestione delle assicurazioni sociali per l’assistenza contro le malattie e per la previdenza contro l’invalidità e la vecchiaia. “Mutua” indica tutti quegli enti obbligatori di categoria spesso creati sotto Mussolini (i principali sono l’Inam e l’Enpas), le cui funzioni confluiranno per la parte medica nel Servizio Sanitario Nazionale a fine anni ’70. Agli enti di categoria si affiancano enti di matrice solidaristica, come l’Ente nazionale per l’assistenza agli orfani dei lavoratori o l’Opera nazionale maternità e infanzia, nel cui ambito si trova anche l’Opera di previdenza per il personale delle Ferrovie dello Stato.

Tale ampia presenza di mutue parastatali, molto diffuse e molto conosciute a livello di “senso comune”, tende a offuscare il valore del mutualismo come unione volontaria e solidaristica e persino il suo riconoscimento da parte dell’opinione pubblica. Al contempo sindacati e cooperative, le filiazioni del mutuo soccorso, acquisiscono sempre più importanza relegando gran parte delle mutue volontarie nel settore del tempo libero, con la gestione di circoli, teatri, cinema e attività sportive.

In questo quadro, la Società di mutuo soccorso dei macchinisti e fuochisti rappresenta un capitolo a sé. Dopo la liberazione rafforza la sua presenza nella categoria grazie all’antico prestigio, ma anche in ragione della specificità del lavoro in ferrovia, soggetto al rischio di infortuni e incidenti che non trovano copertura nella  tutela dello “Stato sociale” che va via via sviluppandosi. Il Sodalizio garantisce la tutela legale in caso di procedimenti civili o penali per cause legate al servizio ed eroga sussidi per sospensioni dal lavoro, detenzione, morte e malattie prolungate in cui interviene la riduzione di stipendio delle Ferrovie dello Stato.

Nel 1948 i soci sono 3.069. L’assemblea annuale decide di riammettere tutti coloro che sono stati espulsi nel ’45 per motivi politici e predispone un piano favorevole per i pensionati, ai quali viene garantito lo stesso sussidio di decesso e malattia dei soci in servizio, ma con una quota mensile da versare ridotta.

Nel 1950 gli iscritti sono 4.350, nel 1957 6.743, nel 1961 8.160, e nel 1964 arrivano a 10.650 macchinisti e aiuto-macchinisti. Su un totale di 20.000 dipendenti FS del personale di macchina, la mutua raccoglie circa il 50% della forza lavoro.

Le quote mensili vengono aumentate, a seguito di un referendum, nel 1951 e poi ancora nel 1953. I soci in servizio versano di più di quelli in pensione. Sempre nel 1953 il sussidio per decesso viene aumentato a 150.000 lire per i soci in servizio e a 50.000 lire per quelli in pensione. Il presidente Roberto Grisoni motiva tale distinzione col fatto che “i deceduti in attività di servizio sono generalmente in giovane età; lasciano indietro quasi sempre figli non ancora in grado di guadagnare; la pensione è ridotta (quando non ancora nulla) dato il loro limitato periodo di servizio. Le loro famiglie vengono quindi a trovarsi in maggior disagio di quelle degli anziani”.

Nel 1957, essendo la figura del fuochista destinata a scomparire con i treni elettrici e diesel, CesarePozzo prende il nome di Mutua del personale di macchina Ferrovie dello Stato. Nello stesso anno il presidente Grisoni comunica ai soci l’offerta di un’assicurazione per la copertura contro i casi di infortuni sul lavoro mortali o con inabilità permanenti, a fronte di un premio mensile di 200 lire. L’assicurazione avrebbe dovuta essere obbligatoria per tutti i soci.

Il presidente vi vede dei vantaggi (integrazione dell’insufficiente trattamento infortunistico dello Stato, facile riscossione delle quote tramite la trattenuta a ruolo), ma teme al contempo che l’aumento del versamento mensile provochi un’emorragia nella base sociale. Il consiglio direttivo invita i rappresentanti a esprimersi. L’opzione viene archiviata perché la risposta dei gruppi è netta, non volendosi mischiare il mutuo soccorso con le assicurazioni.

Nel 1960 diviene presidente Ferruccio Bovani, già artefice della rinascita del sindacato dopo la liberazione. Nonostante l’incremento dei soci e quindi delle entrate di bilancio, in questi anni le uscite aumentano in maniera sensibile. Una particolare rilevanza ha il sussidio per decesso che nel 1963 viene unificato a 150.000 lire per tutti i soci e rischia così di mettere in crisi il Sodalizio, data la maggior incidenza dei morti fra i pensionati, i quali versano quote ridotte.

All’assemblea ordinaria del 1967 viene comunicato che il bilancio presenta per la prima volta un disavanzo di 6 milioni che viene coperto col fondo di riserva e con gli affitti degli appartamenti presenti nella sede sociale di via San Gregorio a Milano, la vecchia Casa dei ferrovieri, dove oltre agli inquilini vi sono un cinema, negozi e sedi sindacali.

Lo sbilancio fra entrate e uscite scatena una discussione sulla gestione della mutua, come attestano vari articoli sulla rivista dei macchinisti “In marcia!”. C’è chi non intende aumentare le quote sociali, come il presidente Ferruccio Bovani, e chi vorrebbe farlo. Alcuni propongono l’eliminazione del sussidio giornaliero di malattia (ritenuto superato dalla conquista dei pagamenti da parte dell’azienda) e l’eliminazione del socio pensionato (bastando la pensione dell’azienda), a fronte dell’aumento del sussidio per decesso dei soci in servizio.

Intanto però il disavanzo tra quote versate e sussidi erogati cresce e nel bilancio dell’esercizio 1969 esso arriva a 12,2 milioni di lire (22,8 milioni di quote a fronte di 35 milioni di sussidi) e viene ancora una volta coperto con gli affitti e con le riserve, che tuttavia vanno assottigliandosi. Si continua però a non prendere decisioni, non volendo né diminuire i sussidi, né aumentare le quote sociali nel timore di bloccare l’opera di proselitismo fra il personale di macchina.

Vi è necessità di aggiornarsi, come testimonia il successo riscosso da un’altra mutua del personale di macchina, costituitasi a Firenze nel 1964, che riesce a raccogliere 4.000 soci. A fronte di quote sociali maggiori, questa mutua indennizza con un milione in caso di detenzione e con 500.000 lire in caso di morte. CesarePozzo in quegli anni eroga sussidi giornalieri in caso di arresto preventivo e un sussidio giornaliero, in caso di sospensione dal servizio, ma solo a inchiesta conclusa. Il sussidio per decesso è fermo a 150.000 lire.

(a cura di Stefano Maggi con la collaborazione di Federico De Palo)

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Sull'Autore
Presidente della Fondazione Cesare Pozzo per la mutualità

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