L’istruzione in tempo di Covid-19

Articolo di · 13 agosto 2020 ·

Didattica a distanza: diseguaglianze emerse e virtù da custodire. Un bilancio per prepararsi ad un nuovo ritorno sui banchi di scuola

 

Trovare metodi e strategie nuove: le parole chiave per questa emergenza sanitaria da Covid-19.

Abitudini stravolte, modi di lavoro da rivedere, cambiamenti da affrontare come nel caso di didattica e educazione, da sempre sinonimo di relazioni e interazioni, prime ad essere totalmente modificate per limitare il contagio.

Con l’inizio della pandemia, la didattica tradizionale è diventata DADdidattica a distanza – portando con sè la negazione del contatto umano e mettendo uno schermo a fare da filtro e ad alterare la spontaneità dei rapporti.

La tecnologia è venuta quindi in soccorso alla necessità che la scuola continuasse la sua funzione potendo così fronteggiare la situazione di emergenza e proseguendo il lavoro intrapreso agli inizi dell’anno scolastico: lezioni audio e video registrate dagli insegnanti e utilizzate dagli studenti secondo le loro tempistiche o modalità interattive, strumento d’elezione durante la pandemia, che hanno visto alunni e insegnanti protagonisti di lezioni svolte su piattaforme online in videochiamata, riproducendo virtualmente la stanza del gruppo classe.

A distanza di mesi e con il “possibile” rientro a scuola quasi alle porte, diventa utile fare un bilancio per capire cosa ha funzionato e cosa no, cosa ci ha lasciato questa rivoluzione vissuta e cosa invece sarebbe meglio non replicare.

“Se dobbiamo considerare i pro della didattica a distanza, così come dello smart working in generale, il primo fra tutti è senz’altro il risparmio di tempo – afferma Alessia Scifo, psicoterapeuta – Non dovendosi spostare dal

luogo in cui ci si trova per il resto della giornata, sono stati azzerati i tempi

Alessia Scifo-Psicoterapeuta

degli spostamenti e ridotti i costi, a partire dalle forniture di materiale scolastico fino alle spese del carburante. Trasversalmente, la didattica a distanza ha consentito anche la condivisione di un’esperienza e di un sentire, di fatto mantenendo per certi versi un assetto gruppale che rischiava di disperdersi nelle solitudini di ognuno all’interno delle proprie mura domestiche”.

Nel tempo sono emerse anche le criticità dei metodi adottati, primo fra tutti la messa in evidenza di diseguaglianze sociali all’interno di una società in cui “il diritto all’educazione è sancito dalla Costituzione – dichiara la dottoressa – Non tutte le famiglie, ad esempio, disponevano di dispositivi elettronici o supporti con i quali consentire ai figli di accedere alle lezioni; non tutte le famiglie disponevano di connessione wi-fi in casa o di connessione internet su cellulare tale da poter supportare ore di videochiamate quotidiane e, ancora, nelle famiglie con più figli in età scolare e con un solo dispositivo, non tutti hanno potuto accedere alle lezioni online. Molti studenti, ad esempio, non avevano i genitori in casa a sostenere i figli, alcuni di loro hanno dovuto continuare a lavorare, rendendosi involontariamente indisponibili a quella funzione di ausilio nello svolgimento delle attività. Non tutti i genitori avevano un livello di istruzione che consentiva di aiutare il figlio nello svolgimento delle attività, essendo questo un parametro fortemente soggettivo che ha a che fare con la storia, le inclinazioni, le possibilità, le attitudini, la provenienza (penso per esempio ai genitori stranieri)”.

Tra le evidenti e importanti criticità della didattica a distanza rientra anche l’assenza di contatto umano, requisito fondamentale della relazione e di ogni tipo di apprendimento che da essa può derivare. “Educare non è solo fornire nozioni – afferma Scifo – è relazione, definizione degli spazi, delle identità, di me e di te, di me e dell’altro; è apprendimento tramite altre forme di comunicazione, è allenare la mente ad acquisire informazioni attraverso lo sguardo sul mondo, sull’altro, sulle espressioni del viso e su quelle del corpo”.

A risentire delle conseguenze dell’interruzione delle tradizionali dinamiche scolastiche, secondo la dottoressa, sono stati gli alunni di ogni fascia d’età: “la qualità dell’apprendimento è stata diversa – dichiara – è venuta meno la grande risorsa evolutiva della socializzazione, è mancata l’autonomia fuori dalle mura domestiche, la perdita di uno spazio di interazione con i pari e con le figure di riferimento altre rispetto ai propri genitori. E’ mancata una modalità di apprendimento che si avvale di tutta una serie di stimolazioni cognitive e relazionali che hanno rischiato di disperdersi dietro il filtro di un display. Se guardiamo agli aspetti pratici – continua Scifo – sicuramente gli alunni più grandi hanno avuto più risorse personali con le quali fare fronte a questo grande cambiamento: più consapevolezza, più competenze tecnologico-informatiche, maggiore autonomia nel seguire le lezioni online e nello svolgimento dei compiti. Nonostante ciò, tutti gli studenti hanno tratto dalla DAD un grande beneficio che va oltre il completamento del programma didattico: hanno appreso la grande lezione della flessibilità, della resilienza, del problem solving, della capacità di accogliere un evento che modifica radicalmente le proprie abitudini, imparando a pensare a soluzioni alternative per portare a termine un obiettivo nel miglior modo consentito dalle circostanze”.

Protagonisti di questo cambiamento sono stati anche i genitori, diventati responsabili diretti dell’educazione e dell’istruzione del figlio, chiamati a partecipare più attivamente alla formazione, al contatto con gli insegnanti, ad assicurarsi che le consegne degli insegnanti venissero portate a termine dai figli, che venissero rispettate le regole (orari dei collegamenti per le lezioni, comportamenti durante le attività online), condividendo con l’insegnante la funzione educativa e di vigilanza.

Un ruolo fondamentale in questo cambiamento è stato rivestito anche dagli insegnanti che hanno dovuto trasportare la loro autorità da una classe fisica all’interno della quale gli alunni necessitavano della loro autorizzazione per entrare, uscire, mantenere il silenzio, ad una classe virtuale dove era possibile allontanarsi dal dispositivo, silenziare il microfono, chiudere la telecamera, chiacchierare, assistere alla lezione e, nel frattempo, chattare privatamente con i compagni.
“Se andiamo al di là del compito istituzionale di occuparsi dell’apprendimento scolastico degli alunni e di portare a termine il programma – afferma Scifo – credo che l’insegnante abbia espletato la sua funzione più importante di educatore fornendo ai propri allievi un grande esempio: l’ispirazione a pensare che possiamo essere sufficientemente flessibili da accogliere le avversità improvvise rimodulando e ricalibrando la nostra posizione e il nostro operato, non nella perfezione ma nell’umana fatica che ogni cambiamento porta con sé”.

Ora occorre fare i conti con il probabile imminente ritorno sui banchi di scuola che, secondo gli esperti, potrebbe generare pensieri ansiogeni e preoccupanti sotto diversi punti di vista come la paura dell’altro che può rappresentare veicolo di contagio, il timore del cambiamento da affrontare, il vivere la scuola, da sempre culla delle relazioni, in un assetto di distanziamento sociale. “Ci sarà una griglia da seguire per ritornare in un clima di protezione e tutela, ovvero le indicazioni e le disposizioni ministeriali sui dispositivi di sicurezza, sulle norme da applicare, sugli esami da svolgere – continua la dottoressa – Sarà però altrettanto importante trovare degli spazi e dei tempi dedicati alla condivisione, allo scambio, all’elaborazione di quanto hanno attraversato insegnanti e alunni da marzo ad oggi: sarebbe importante poterlo fare attraverso il sostegno di figure preposte, pensare a incontri, percorsi con psicologi che possano fornire ascolto e supporto per un’accoglienza che quest’anno, sarà più faticosa e impegnativa soprattutto con alunni piccoli, dove spesso ci si avvaleva di un contatto fisico, una carezza, un abbraccio”.

Risulta quindi fondamentale elaborare quello che è stato, che ha caratterizzato e stravolto le vite negli ultimi mesi, per trarne il meglio.

“Eventi così macroscopici – commenta la dottoressa – ci mettono in contatto con esperienze ed emozioni ancestrali quali la paura, l’angoscia, la sensazione di essere indifesi e vulnerabili, la sfiducia verso l’altro e/o lo straniero. E’ importante che queste emozioni vengano riconosciute e accolte per approdare alla comprensione di quanto accaduto e dei cambiamenti attraverso cui siamo transitati, per avere uno sguardo compassionevole verso risorse che non sapevamo di avere ma che abbiamo dovuto tirare fuori da dentro di noi. Questa esperienza ha fatto cadere ogni illusione di controllo e, a prescindere dalla propria disposizione d’animo, per tutti è stato necessario rimanere dentro una grande bolla di sospensione e, senza scappatoie, passare attraverso questa esperienza. C’è stato chi ha detto che sarebbe andato tutto bene, chi ha cantato, chi ha continuato ad andare a correre, chi ha dedicato il tempo alla famiglia, chi si è dedicato ad attività creative, chi ha imparato a lavorare in smart working: sono tutti esempi di resilienza e flessibilità. Questa esperienza ci ricorda che evoluzione è trovare modalità adattive funzionali di fronte a eventi avversi”.


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