La pandemia ha evidenziato il divario digitale fra le famiglie italiane, sia in termini di accesso e che di competenze. La necessità di investimenti in conoscenza per aumentare le competenze digitali e recuperare i ritardi rispetto alla media europea
Famiglie e nuove tecnologie è il tema, quanto mai attuale anche in Italia, della Giornata internazionale delle famiglie che viene celebrata il 15 maggio. Un focus sulla giornata 2021 scelto dalle Nazioni Unite, facendo seguito alla 59ª sessione della Comissione per lo sviluppo sociale del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite: “Transizione socialmente equa verso lo sviluppo sostenibile: il ruolo delle tecnologie digitali nello sviluppo sociale e per il benessere di tutti”.
La pandemia di Covid-19 ha messo in evidenza l’importanza delle tecnologie digitali per il lavoro, l’istruzione e la comunicazione, accelerando al contempo cambiamenti tecnologici già in corso nella società e nei sistemi produttivi, incluso l’utilizzo di piattaforme digitali e innovazioni tecnologiche ad esse correlate, come la nuvola informatica (“cloud computing”), i big data e gli algoritmi.
Anche sulle famiglie, segnalano le Nazioni Unite, impatta un insieme di forze e tendenze di lungo periodo – i cosiddetti megatrends – in grado di modificare le economie mondiali e le società. Esse includono nuove tecnologie, variazioni demografiche, rapida urbanizzazione e tendenze migratorie. Sono forze e processi, sottolinea l’Onu, che stanno drammaticamente condizionando il nostro mondo. Per questo, aggiunge, serve sensibilizzare su queste tendenze e sulla necessità di politiche orientate alla famiglia per affrontarne gli effetti.
In Italia le criticità del rapporto delle famiglie con le nuove tecnologie sono divenute particolarmente evidenti in questi mesi di pandemia, anche in relazione alla diffusione dello smart working e del ricorso alla didattica a distanza nelle scuole.
L’Istat, nel suo ultimo Rapporto annuale 2020 – La situazione del Paese, indica che l’Italia è stata investita dalla pandemia “con un consistente svantaggio in termini di digital divide (un gap in termini di indicatori collegati all’uso di internet di circa il 10 per cento rispetto alla media europea)” e che se lo shock esogeno del Covid-19 “ha avuto l’effetto positivo di evidenziare che, col capitale umano disponibile, era già possibile avviare un necessario cambio di paso e in tempi brevi imparare a sfruttare su larga scala tecnologie disponibili, dall’altro ha nuovamente focalizzato l’attenzione sul peso che il ritardo del Paese in investimento in conoscenza comporterà nel prossimo futuro in termini di recupero dell’economia”.
Lo stesso rapporto precisa che nel 2019 internet è stato utilizzato regolarmente dal 74% delle persone tra i 16 e i 74, un dato in crescita di 5 punti percentuali negli ultimi tre anni che va però paragonato al dato medio dell’Unione Europea, passato nello stesso periodo dall’81% all’85%. Una situazione di ritardo confermata dai dati su chi non usa mai internet (20% contro una media europea dell’11%) e su chi ha, al contrario, elevate competenze digitali (22% contro 33%).
A livello familiare, il 24,2% delle famiglie (6 milioni 175 mila) si è trovata completamente priva di utenti di internet, con maggiori criticità nelle famiglie costituite da soli anziani, in quelle a basso reddito, al Sud e nei comuni fino a 2.000 abitanti.
Anche sul piano delle capacità di utilizzo, oltre che delle possibilità di accesso, il divario digitale fra le famiglie italiane è notevole e da ricondurre a fattori sociali, generazionali e territoriali: sono “meno del 40% le famiglie in cui è presente almeno un’internauta con competenze digitali elevate e il 12,8% quelle in cui tutti i componenti hanno queste stesse capacità d’uso. Il 12,5% delle famiglie ha competenze digitali di base, mentre sono il 33% le famiglie con almeno un componente con competenze basse”.
Almeno sulla carta, le competenze digitali delle famiglie dovrebbero crescere nei prossimi anni grazie al Piano nazionale di ripresa e resilienza, il cosiddetto Recovery Plan, che destina 46,3 miliardi al capitolo “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”. Sarà poi da vedere nei fatti come verranno declinati questi investimenti.
Il divario digitale si innesta in un quadro che vede confermata la tendenza alla semplificazione della struttura familiare in corso negli ultimi decenni, come viene descritto nell’ultimo Annuario statistico italiano dell’Istat.
All’aumento del numero delle famiglie – 25 milioni e 700 mila nel biennio 2018-2019, quadruplicate negli ultimi 20 anni – corrisponde l’aumento delle famiglie unipersonali (il 33,3% del totale), cresciute nello stesso periodo di più di 10 punti percentuali, e la diminuzione delle famiglie con cinuqe o più componenti (dal 7,7% al 5,3%). Il numero medio di componenti del nucleo familiare è diminuito da 2,7 nel biennio 1998-1999 a 2,3 nell’ultimo biennio analizzato.
Le famiglie con figli, un tempo la tipologia più numerosa, rappresentano solo il 33% del totale. Le coppie senza figli sono diminuite rispetto al biennio precedente (dal 20,1% al 19,6%), mentre una famiglia su dieci è rappresentata da nuclei monogenitori, soprattutto di madri sole.
Una tendenza, quella italiana, che è parte di una più generale tendenza mondiale. Il più recente rapporto delle Nazioni Unite (novembre 2019) sul tema indica che le famiglie mondiali stanno diventando più piccole mentre cresce il numero di quelle monogenitoriali, anche a livello globale composte prevalentemente da madri con bambini. Il 65% delle famiglie globali è rappresentato da coppie con figli o coppie con figli ed altri parenti, soprattutto nonni.
Il cambiamento della struttura familiare, con la diminuzione delle famiglie estese e l’aumento di quelle monogenitoriali, si legge nel rapporto, pone importanti problemi di protezione sociale, venendo meno i tradizionali legami informali di aiuto reciproco presenti nelle famiglie allargate. Una mancanza di tutele che colpisce soprattutto le donne, accrescendo le disuguaglianze di genere.
Osserviamo quindi su scala globale quel progressivo ridursi delle famiglie allargate, connesso a processi di rapida urbanizzazione, e il venir meno delle reti di protezione sociale informali che i Paesi industrializzati hanno conosciuto già due secoli fa, durante la fase di industrializzazione e il conseguente inurbamento di larghe fasce delle popolazione. Fu proprio per dare risposta a bisogni di protezione sociale di questo tipo che, in mancanza di welfare pubblico, si costituirono all’epoca le società di mutuo soccorso.
Le conclusioni del rapporto delel Nazioni Unite indicano come sia dimostrato che efficaci politiche e programmi orientati alla famiglia siano cruciali per la riduzione della povertà, la promozione dell’uguaglianza di genere, i progressi nell’equilibrio vita-lavoro e la prevenzione del fenomeno, in larga crescita, di famiglie senzatetto (in Europa rappresentano il 20% dei senzatetto totali e negli USA il 33%).