Cesare Pozzo inviato dalla Mutua all’Esposizione universale
1889, la Società di mutuo soccorso fra macchinisti e fuochisti delle ferrovie italiane (l’odierna Mutua sanitaria Cesare Pozzo) invia il macchinista ferroviario Cesare Pozzo, che ne era stato presidente fino all’anno prima, all’Esposizione universale di Parigi per studiare e relazionare ai colleghi soci sull’industria ferroviaria e i relativi progressi tecnici, con particolare attenzione, ovviamente, alle locomotive. Cesare Pozzo si reca nella Ville Lumière e, al ritorno pubblica Un’escursione a Parigi nel 1889. Impressioni e note di un macchinista ferroviario (Milano, 1890) che verrà premiato con la medaglia d’argento all’Esposizione operaia italiana di Torino del 1890.
L’Expo di Parigi del 1889
L’Expo di Parigi del 1889 è il decimo, quello per il quale viene costruita la Tour Eiffel. Un’occasione per la Francia di celebrare la Repubblica e il centenario della rivoluzione – “la grande rivoluzione che elevò alla dignità di cittadini la plebe”, scrive Pozzo. Non a caso le monarchie europee non partecipano in veste ufficiale, arrivando alcune al boicottaggio. Molti Paesi, fra cui l’Italia e altre grandi potenze dell’epoca (Gran Bretagna, Austria-Ungheria, Germania, Russia), sono presenti solo grazie a iniziative di comitati, aziende e artisti privati, restii a mancare la grande vetrina internazionale.
Quelli repubblicani sono anche i riferimenti culturali e valoriali di un Cesare Pozzo entusiasta e ansioso di arrivare (“un forestiero che s’avvicina a Parigi per la prima volta, non può non sentire una forte emozione, un fremito potente”).
Cesare Pozzo e le rivoluzioni parigine
A Place de la Bastille gli pare di “udire la voce di Desmoulins, del bello, aitante, coraggioso eroe popolano, urlare: ‘À la Bastille’. Chiudo gli occhi e vedo irrompere un’onda di popolo, forte, compatto, furente, una moltitudine d’uomini, donne e fanciulli vestiti di cenci, armati di scuri, forche e bastoni, trascinati dalla rabbia, dalla collera, dal desiderio della vendetta. E tutta questa moltitudine disperata, terribile che combatte coll’ardor del leone, battuta, vinta, retrocede. Poi riprende l’abbrivio, ritorna su’ suoi passi, s’incuora nella corsa più stretta, più ardita, più minacciosa, più forte di prima e vince, segnando nelle severe pagine della storia la più grande vittoria di popolo, mentre inaugura la grande rivoluzione francese che cangiò la faccia al mondo”.
La Colonna di luglio “è nel mezzo della piazza ritta, alta, severa, come rivelazione di vita nuova. Essa è là a ricordare alle genti le gloriose giornate di luglio 1830 e a proteggere, coll’ombra sua, i resti del dei caduti del 1848, a’ suoi piedi sepolti”. E così, già nel primo capitolo del suo libro-relazione, Cesare Pozzo trova modo di ricordare tutte le rivoluzioni che in un secolo sconvolsero la Francia (e il resto del mondo).
Parrebbe mancarne una, la più recente, la Comune del 1870, ma è invece la prima a venirgli in mente, ancora sul treno. Durante il viaggio da Saluzzo (CN) – ai primi dell’anno era stato trasferito da Milano nella minuscola Moretta (CN) per il suo attivismo – alla capitale francese, Cesare Pozzo si ritrova “pigiato come un’acciuga” quando, a completare lo scompartimento di seconda classe, salgono un uomo “ammodo con una grande valigia”, “un prete nero e un sergente di linea francese, con un paio di pantaloni rossi come la bandiera della Comune”.
A zonzo per la Ville Lumière
Gran parte del resoconto riguarda, com’era da attendersi, il materiale ferroviario presente all’Expo di Parigi del 1889: locomotive, vagoni, sistemi di segnalamento, freni, apparecchi di distribuzione del vapore, sistemi di riscaldamento e di illuminazione, ma anche macchine utensili utilizzate dall’industria ferroviaria.
La parte più interessante per lettori poco addentro alle questioni tecniche è però l’introduzione, con le impressioni meravigliate di un macchinista ferroviario preso dal turbine della metropoli. È uno sguardo ammirato e rapito, ancor più degno di nota, quando si consideri l’osservatore. Cesare Pozzo è sì un operaio autodidatta, ma non certo uno sprovveduto provinciale: cresciuto a Genova con il suo porto trafficato, ha abitato anni a Milano – di tutte le città italiane dell’epoca forse la più moderna -, i trasferimenti di sede lavorativa e il lavoro sulla locomotiva gli hanno permesso di conoscere gran parte del nord Italia.
Parigi però è diversa. Saltano subito agli occhi le lunghe file di “palazzi e di case color bigio carico, col tetto di piompo”, “coperte di insegne e di caratteri dorati di tutte le forme e dimensioni”, “quasi letteralmente tappezzate di avvisi, di manifesti di tutte le dimensioni e colori, con ogni sorta di caratteri, con e senza figure, pupazzi e disegni; e tutto questo con un cumulo di lettere, bianche, nere, gialle, rosse, verdi e bleu confuse insieme, sono la a far la réclame a tutti e a tutto”.
E tanta la gioia che, appena arrivato in albergo, dopo 24 ore di treno in seconda classe, il nostro si tuffa nei boulevard “svelto e leggiero, come se avessi dormito il più lungo e profondo dei sonni, e allegro come una pasqua, per giunta”.
Cesare Pozzo sale sull’imperiale di un omnibus, cioè i posti sul tetto dei carrozzoni a cavalli adibiti a servizio pubblico – nel 1889 a Parigi venivano utilizzati anche i tram a cavalli e i tram a trazione meccanica (vapore o aria compressa): “per vedere e osservar bene il pubblico misto, vario, senza fisionomia precisa, e il cumulo delle bellezze e delle ricchezze di queste vie meravigliose, la vita, la febbre di Parigi”.
“Vedo fuggirmi dinanzi, mentre fuggo io stesso, una processione interminabile di vetture, di omnibus, di furgoni, di pesantissimi carri e di carretti a mano, quali in colonna serrata, altri che si rincorrono, s’inseguono, attraversano la via, a gruppi, a sciami, portando a spasso la ricchezza e la miseria, la semplicità ed il convenzionale, la modestia, la galanteria e il lusso sfacciato. Sui marciapiedi, è un via-vai, un moto che non riposa, non si ferma; si muove, si agita, sussulta, rumoreggia. La folla vi è varia, che va, che viene, lenta o frettolosa, saltellante; si nasconde o sbuca colla sveltezza dello scoiattolo nelle vie adiacenti, nelle porte delle case, nei negozi, di qua e di là. È l’operaio in blouse, lo studente in stifelius, il professore in marsina, la rivendugliola obesa, sporca, cenciosa, la grisette vispa e leggiera che vi volge un’occhiata di fuoco che vi fa sussultare; è il commerciante, l’industriale, lo scrivano, il commesso, l’impiegato, il giornalista, il deputato, il ministro, tutti in una mescolanza simpatica; gente di tutte le classi, di tutte le condizioni, i molteplici, svariati tipi che formano la gran massa irrequieta, ondeggiante, che popola Parigi”.
La Tour Eiffel dappertutto
L’impressione per l’abbondanza di manifesti, avvisi, pubblicità è così profonda (“l’occhio non riposa, la mente si ubriaca”) da essere ribadita più volte. Al pari delle malie delle vetrine scintillanti di negozi e grandi magazzini; di bar, ristoranti, pasticcerie (“tutt’oro, specchi, statue, colonne e fregi”) frequentati da un gran mondo che gli ricorda il romanzo di Zola La Curée. E poi i teatri, i palazzi, le chiese, i musei, i giardini, la Senna e i vaporetti…. Tutti luoghi che Cesare Pozzo frequenterà da turista nei giorni successivi, “stordito” ma non “sazio”.
Con una nota speciale per la Tour Eiffel costruita appositamente per l’Esposizione universale del 1889 : “Dovunque v’aggirate, sotto i portici, sui marciapiedi, sulle cantonate, in tutti i negozi, dall’orafo al bazar, dall’offelliere al merciaio, vedrete la torre Eiffel ridotta a ciondolo, a spillo, a calamaio, a termometro, a pressacarte, a temperino, a forbice, a candeliere, a portamonete; in oro, in argento, in bronzo, in metallo bianco, fusa, incisa, stampata; la vedrete tessuta, ricamata, litografata, fotografata; la vedrete fatta di cioccolato, di zucchero, di mille dolciumi, di tutte le leccornie; su’ bottoni, sui pettini, sulle buste e sulla carta da lettera e chi scrive ne ha veduta una, alta 2 metri e 75 cm di base, fatta tutta di spilli piccolissimi”.
La Tour Eiffel, per l’uomo dell’Ottocento fiducioso nel progresso, è un monumento imponente e grandioso. Cesare Pozzo la descrive assieme agli altri padiglioni dell’Expo, il Palazzo del Trocadero, i chioschi, i bar, le birrerie, le fontane, i viali frondosi, l’immenso parco del Champ-de-Mars: “una gran folla che veste in tutti i costumi e parla in tutte le lingue, curiosa, avida di novità, desiosa di sensazioni nuove, popola quel recinto della pace e del lavoro”.
E aggiunge: “alla sera, quando un’onda sfarzosa di luce elettrica – che sprigionasi dall’alto della torre Eiffel – scende ad illuminare quei cupoloni grandissimi, quei palazzi interminabili, quelle gallerie esterne, dalle quali s’eleva un’orgia di suoni, prima indistinti ma che sono la nota melanconica e il canto d’amore confusi coll’inno di guerra; quando quella luce irradia sulle fontane, le statue, i stendardi, le orifiamma, e il pulviscolo umido delle fontane luminose, stranamente colorate – col mezzo dei riflettori – or verde, or rosso, or color d’oro, oppur bianco d’argento che abbaglia, dinanzi alle migliaia di tremolanti fiammelle e di lampade elettriche, a quello splendidissimo spettacolo, crederete di esser vittima del più meraviglioso dei sogni.”
La fede nel progresso corre sulla locomotiva
Un’escursione a Parigi si chiude, dopo l’illustrazione delle novità ferroviarie, con la fiducia nel progresso che è la cifra di un’epoca, il cui simbolo incontrastato rimane la locomotiva: “Consoliamoci dunque, che, in poco più di mezzo secolo la viabilità è stata grandemente facilitata e la locomotiva riavvicinando i popoli, agevolando i traffici, semplificando, moltiplicandoli, i commerci, portò ovunque quel soffio di civiltà che germoglia simpatie, ispira il vicendevole amore che affratella le nazioni e le sospinge verso quella pace universale, al trionfo della quale lavora con fede la democrazia di quest’ultimo scorco di secolo morente”.
In Italia il secolo si sarebbe avviato a conclusione sotto le cannonate di Bava Beccaris, di cui Mutua e lo stesso Cesare Pozzo avrebbero pagato le conseguenze. Solo pochi lustri e i treni sarebbero stati impiegati per ammassare truppe nelle trincee dell’Europa in fiamme, ulteriori colpi inferti alla fede laica in uno sviluppo armonioso e senza conflitti. Ma questa è un’altra storia che a Cesare Pozzo, morto suicida nel 1898, fu risparmiata.