Il dolore è un segnale di allarme che ci avverte che qualcosa non va nel nostro corpo, ma molto spesso è di per sé una malattia che richiede diagnosi e cure specifiche.
Dai dati della letteratura scientifica si evince che in Italia una persona su quattro, circa il 25% della popolazione totale, soffre di artrosi, fibromialgia, nevralgie e di altre condizioni che determinano dolore cronico, riconosciuto come una vera e propria patologia per le conseguenze che comporta dal punto di vista fisico, psichico e socio-relazionale. Meno della metà delle persone colpite da dolore cronico segue una terapia specifica e un malato su tre attende lunghi periodi, mesi o anni, prima di rivolgersi a un medico. Il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato con antidolorifici non specifici (23%), ma può essere inquadrato e trattato in strutture dedicate che si occupano di terapia del dolore, specialità che si rivolge a tutte le persone che avvertono dolore, che possono essere affette da patologia oncologica, dolore muscolare, osteoarticolare o neuropatico, comprendendo anche lombalgie e lombosciatalgie, l’artrosi, la cefalea e la fibromialgia.
“Il dolore è dolore di qualunque natura esso sia. – afferma la dottoressa Genni Duse,
specialista in anestesia e rianimazione, responsabile dell’attività ambulatoriale e chirurgica di Terapia Antalgica dell’ospedale Sant’Antonio di Padova, oltre che dell’Ambulatorio di Terapia del Dolore aperto al Policlinico di Abano Terme convenzionato con la Mutua sanitaria Cesare Pozzo – La terapia del dolore è una disciplina specialistica che si occupa della diagnosi e della cura del dolore acuto e cronico. Comprende l’insieme di interventi di diagnosi e terapia volti a individuare e applicare alle sindromi dolorose acute e croniche, idonee e appropriate terapie farmacologiche, infiltrative, chirurgiche e strumentali, psicologiche e riabilitative, con lo scopo di elaborare il percorso corretto per la soppressione e il controllo del dolore”.
Il dolore acuto è di solito associato a un danno causato, ad esempio, da un trauma, mentre quello cronico può essere correlato a un evento del passato, talora non più identificabile, oppure espressione di una malattia cronica.
“L’Ambulatorio di Terapia del Dolore di cui sono responsabile ha come obiettivo il migliorare la qualità della vita delle persone affette da dolore acuto e cronico e ridurne le conseguenze invalidanti. – sottolinea la dottoressa Duse – Parliamo di un problema importante che investe la nostra società sia da un punto di vista prettamente sanitario, sia socio-economico. Basti pensare alle giornate di lavoro perse o alle limitazioni nello svolgere le più semplici attività quotidiane. Il dolore, infatti, non deve per forza accompagnare la malattia e non deve essere considerato un evento normale. Esso va, invece, preso in carico e misurato secondo specifici parametri, diversi per adulti e bambini, che ne valutano l’intensità, la durata e la qualità, in modo da stabilire la cura più adeguata”.
La terapia del dolore insegna che il dolore non è necessariamente legato ad un atto chirurgico. Tale spiecialità viene spesso anche definita medicina del dolore perché lo specialista non si occupa solo di trattare il dolore ma anche di capire da cosa sia determinato per arrivare ad una diagnosi e proporre una terapia. “È vero che di dolore non si perisce – afferma Duse – ma si può vivere a lungo con una qualità di vita alterata e questo è inaccettabile.”
Il dolore, come afferma l’esperto, ha delle caratteristiche sue proprie. Quello che cambia, da persona a persona, è la percezione di esso legata ad una sopportazione differente e spesso indipendente dalla propria volontà. “Nel panorama medico, ad esempio, esistono delle patologie che creano un’alterazione dei recettori che regolano il trasferimento del dolore. In questo caso, il paziente rischia di farsi molto male – continua Duse – Per questo, la percezione del dolore richiede una valutazione soggettiva e, a tutt’oggi, non abbiamo uno strumento per misurarlo. Ci sono alcuni metodi particolari e complessi di cui ci si avvale per misurare la sensibilità e per fare una valutazione neuropsicologica dei nervi. Oppure, si impiega l’applicazione del caldo e del freddo in alcuni punti della cute, al fine di valutare la sensibilità e la soglia del dolore ma, a parte questo, non esistono strumenti specifici, come può essere un termometro, che possano misurare in modo preciso il dolore”.
Per la misurazione di esso, l’esperto si avvale anche di questionari. “Un paziente che riferisce che ha male, a mio avviso ha sempre ragione. Quello che può variare è l’intensità. Ognuno ha il dolore che sente e deve essere rispettato e preso in considerazione così come è. Per capire quanto ha male, si sottopongono al paziente delle domande e delle scale verbali, con le quali esplicitare il dolore da uno a dieci. Si chiede se si percepisce il dolore sempre allo stesso modo durante la giornata, se lo si sente più di giorno o più di notte, più quando si è in movimento o quandosi è fermi. Queste valutazioni aiutano a risalire alle cause del dolore e alle sue caratteristiche. Possiamo affermare, dunque, che la sua valutazione è il frutto di un’analisi quantitativa, qualitativa e temporale. Sulla base di questo si pone una diagnosi che è diversa da paziente a paziente: pur avendo due persone la stessa malattia, la percezione è differente”.
Qualunque paziente o cittadino che ha dolore può, dunque, accedere alla terapia del dolore e, una volta fatta la diagnosi, lo specialista ha il compito di alleviarlo.
“Ci sono due tipi di dolore che dal punto di vista temporale sono molto importanti: acuto e cronico – continua l’esperto – Quello acuto è di tipo protettivo e serve inizialmente per arrivare ad una diagnosi. Il dolore cronico è, invece, altra cosa e può partire da un dolore acuto non trattato o può riguardare anche un male persistente come nel caso di una malattia cronica come quella reumatica nella quale il male si riaccende e si spegne. Il dolore si può cronicizzare anche perché nel tempo si altera, e, in questo caso, si parla di un sistema neurologico malato o di dolore neuropatico cronico dovuto all’alterazione della trasmissione dello stesso al cervello”.
La terapia del dolore contempla sia un intervento di tipo farmacologico e sia non farmacologico. Oltre ai farmaci iniziali, si possono prevedere anche iniezioni locali per le quali occorre una dose di farmaco molto più bassa di quella assunta per via orale e, nel caso del dolore cronico, è anche consigliata la fisioterapia con esercizi che attenuano il dolore oltre a un percorso riabilitativo.
“ Io definisco la terapia del dolore una cura sartoriale creata su misura del paziente – afferma l’esperto – Oltre a valutare il manifestarsi di eventuali effetti collaterali derivanti dall’assunzione della terapia, occorre considerare l’età, se sta assumendo altri farmaci che possono entrare in conflitto con gli analgesici o se sta prendendo anticoagulanti”.
Il terapista del dolore si occupa quindi di differenti patologie e qualsiasi persona che ha un dolore può accedervi. “Chi nella vita non ha mai avuto un momento nel quale ha sofferto di lombalgia, o non ha mai avuto un periodo di cefalee? Il groppo limite è che non esiste però un’offerta specialistica adeguata alla nostra popolazione e il medico di medicina generale dovrebbe indirizzare il paziente verso l’accesso alla terapia del dolore. Un paziente con dolore cronico, inoltre, è un paziente impazientito perché sta sempre male, gira medici e non trova sollievo e, in più, ignora che esiste un terapista del dolore con il quale deve avere un buon rapporto e molta fiducia. In tutti gli ospedali c’è il reparto di terapia del dolore ma molto spesso non lo si sa. Le armi che abbiamo a disposizione per aiutare questo tipo di paziente sono due: informazione e formazione. E’ l’unico modo per fare sapere che la soluzione al dolore esiste!”. – conclude Duse.