Dare voce a chi non ce l’ha: la fotografia di Pierpaolo Mittica

Articolo di · 23 ottobre 2020 ·

Quando vedo una profonda ingiustizia, sono spinto dalla motivazione di andare sul posto, dare voce e cercare di cambiare le cose. Magari non cambi il corso della storia ma puoi contribuire a cambiare la vita anche solo di una persona e aiutare una comunità.” – Pierpaolo Mittica

 

Occasione di riflessione e dibattito, il Festival del Coraggio, promosso dal Comune di Cervignano del Friuli e organizzato dall’Associazione culturale Bottega Errante con il sostegno, tra gli altri, della Mutua sanitaria Cesare Pozzo e di Itaca cooperativa sociale, ha accolto ospiti d’eccezione che hanno portato la loro esperienza e le loro riflessioni sul tema del coraggio, in un momento storico, come quello attuale, caratterizzato dalla paura comune e diffusa nelle abitudini più quotidiane, a causa del contagio da Covid-19.

Tra loro, Pierpaolo Mittica, fotografo sociale che con il suo lavoro ha documentato situazioni estreme come Chernobyl o Fukushima.

La motivazione ti spinge oltre la paura e diventa coraggio – afferma Pierpaolo Mittica –  Dal mio punto di vista chi sceglie di fare fotogiornalismo deve necessariamente avere una grossa determinazione perché ha a che fare con situazioni difficili, pericolose, con storie di vita che si sviluppano in luoghi molto complicati”.

Pierpaolo Mittica – Fotoreporter

Mittica inizia a fotografare a 12 anni quando, durante una vacanza in Francia con la famiglia, suo zio, fotografo professionista, gli “mette in mano” una Polaroid e, dal quel momento, nasce la passione. Negli anni successivi studia fotografia e camera oscura.

Mi piaceva viaggiare e facevo fotografie di viaggio – continua Mittica – La mia dedizione al sociale nasce però durante un viaggio in Vietnam nel 1994. Un giorno mi sono diretto verso la periferia della città di Da Nang e, entrando in una bidonville, ho preso coscienza delle condizioni di vita difficili nelle quali vivevano. Situazioni che conoscevo perché le avevo lette ma, prima di quel momento, non le avevo mai viste con i miei occhi. Quell’esperienza ha fatto scattare in me una molla e ho capito che la fotografia era più utile se descriveva la vita degli altri più che la mia. Ho iniziato a documentare situazioni di vita di persone che non avevano voce in capitolo e questo approccio è diventato l’anima della mia fotografia”.

Negli anni Piarpaolo si specializza sul tema ambiente dando rilievo ai cambiamenti climatici. “Se non abbiamo più la nostra terra non abbiamo più la possibilità di vivere. Nel 2002, quando ho iniziato il progetto su Chernobyl, ho iniziato ad interessarmi dei disastri generati dall’uomo sulla terra, dando vita, nel 2011, a Living Toxic, un lavoro a lungo termine che ha lo scopo di documentare i luoghi più inquinati al mondo. L’uomo sta distruggendo la terra con diversi tipi di inquinamento – radioattivo, chimico, estrattivo, industriale – e questo atteggiamento, oltre a distruggere la terra, annienta anche l’umanità: le persone che abitano in questi posti vivono in condizioni davvero molto difficili”.

In un’epoca caratterizzata dal documentare sui social ogni momento della propria vita, dall’esaltare se stessi con numerosi selfie, la fotografia di Mittica sembra quasi in contrasto.

Instagram e i canali social rappresentano l’umanità, da sempre caratterizzata dall’egocentrismo, l’egoismo e l’avarismo, insiti nell’animo umano. Questi atteggiamenti – continua il  fotografo – stanno causando la distruzione di noi stessi e della natura nella quale viviamo e i cambiamenti climatici sono solo l’inizio”.

Fonderia di rame con fumi e rifiuti tossici rilasciati nell’ambiente circostante, Karabash, Russia, 2013. Foto: Pierpaolo Mittica

Etica e empatia sono le parole chiave per questo tipo di fotografia.

Quando fai questo lavoro, per poter entrare nella storia delle persone, devi vivere come loro. Diversamente saresti un turista. Prima di arrivare a fotografare, personalmente passo tanto tempo a parlare con la gente del posto, sia per costruire la storia e conoscere la realtà e sia per farmi conoscere: è fondamentale che le persone che andrò a fotografare abbiano fiducia in me ed è corretto che conoscano il contenuto del mio lavoro, anche perché saranno loro a comparire sui giornali. Per costruire questa fiducia, ci vuole tanto tempo e preparazione che, per un reportage, inizia almeno sei mesi prima della partenza. Tutto questo percorso contribuisce a generare lo scatto finale. Generalmente mi fermo sul posto dalle tre alle quattro settimane. Se sono luoghi molto grandi, sia come storia e sia come estensione geografica, ci torno diverse volte. A Chernobyl, ad esempio, sono stato una trentina di volte in 18 anni perché la storia è enorme”.

La fotografia, per Pierpaolo, è una missione. Quando vedo una profonda ingiustizia, sono spinto dalla motivazione di andare sul posto, dare voce e cercare di cambiare le cose. Magari non cambi la storia ma puoi contribuire a cambiare la vita anche solo di una persona o aiutare una comunità. E questo è già un enorme successo per un fotografo. La fotografia ti dà la possibilità di vivere la vita degli altri e di assaporare, anche negativamente, l’esistenza. Tutto questo ti forma e ti dà una ricchezza enorme. Con le foto, porti le situazioni che documenti alla conoscenza del pubblico e se c’è qualcuno che lo recepisce è già un grande risultato.”

E per chi vuole approcciarsi a questa professione Pierpaolo afferma: “Fatelo: il mondo ne ha bisogno. Più fotogiornalisti ci sono e più c’è possibilità di cambiare le cose”.


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