Benché malvista dal regime, CesarePozzo riesce durante il ventennio a mantenere una propria autonomia. Il periodo della presa del potere fascista e del consolidamento del regime è comunque per la Mutua un momento di crisi.
Contro le violenze e lo squadrismo fascista, l’Alleanza del lavoro proclama nell’agosto del 1922 lo “sciopero legalitario”. I ferrovieri che vi partecipano sono duramente puniti dall’Azienda FS. Ai ferrovieri non è infatti consentito scioperare, il divieto è contemplato dal codice penale per tutti i dipendenti pubblici e ribadito dalla legge n. 429 del 1907, istitutiva delle Ferrovie dello Stato. Sulla base di tale legge, 124 agenti vengono considerati dimissionari, 770 retrocessi di grado, 44.000 puniti con la proroga del termine per conseguire l’aumento di stipendio.
La Difesa dello Sciopero Legalitario: Sussidi Straordinari per i Soci
La Mutua delibera sussidi straordinari per i molti soci che a causa dello “sciopero legalitario” si trovavano da oltre 15 giorni sospesi dal servizio, interdetti dai pubblici uffici, latitanti o in arresto. Per far fronte a queste ingenti spese, viene chiesto ai soci per un certo periodo un aumento volontario della quota mensile da 5 a 7 lire. La risposta della base sociale risulta favorevole alla solidarietà verso i colleghi colpiti dalla repressione, e mostra quanto sentito sia lo spirito di gruppo fra macchinisti e fuochisti.
Dopo la marcia su Roma e la nomina di Mussolini a capo del governo, la situazione si fa ancora più pesante. Vengono emanati una serie di decreti miranti a risanare le Ferrovie dello Stato e a sfoltire il personale in esubero. Il consiglio di amministrazione delle FS viene sciolto e nominato un commissario straordinario. Vengono licenziati tutti gli agenti riconosciuti non idonei per incapacità, malattia o per “scarso rendimento di lavoro”, motivazione dietro la quale si nasconde spesso la repressione contro l’attività sindacale e contro l’attività politica antifascista. Sono anche licenziati tutti gli assunti nelle amministrazioni statali successivi al maggio 1915 che non abbiano titoli speciali. I numeri di questa epurazione politico-sindacale e ristrutturazione economica delle FS sono impressionanti: dei 226.907 ferrovieri in servizio al 30 giugno 1922, nel giugno 1924 ne rimangono solo 174.140.
CesarePozzo risente ovviamente della nuova difficile situazione: nel febbraio 1923 i soci sussidiati a causa del licenziamento sono un centinaio. In una circolare ai rappresentati dei gruppi, il presidente Giacomo Marcati evidenzia i vantaggi di cui godono i soci e le loro famiglie nei casi di bisogno (malattie, sospensione dal servizio, arresto preventivo per motivi di servizio, decesso), ma è costretto a sottolineare il carattere “prettamente apolitico della Mutua”. La Mutua che era stata motore della fondazione del sindacato dei ferrovieri e che aveva inserito nel proprio statuto l’adesione al partito socialista, si trova ora in una critica situazione difensiva e in una solitudine che sarebbe durata a lungo.
La Sopravvivenza della Mutua durante il Fascismo
Nel 1925 vengono sciolti il Sindacato ferrovieri italiani e la Federazione italiana delle società di mutuo soccorso e casse previdenza che era stata fondata nel 1900, cioè l’odierna FIMIV (Federazione Italiana Mutualità Integrativa Volontaria).
Il regime, nel suo tentativo di ricondurre l’associazionismo e l’assistenza sociale sotto il controllo dello Stato, mal sopporta le tradizionali società di mutuo soccorso volontarie che rappresentano una forma di auto-organizzazione dei lavoratori, e cerca di assorbirle in enti previdenziali di matrice padronale o parastatale.
Le società di mutuo soccorso possono continuare a esistere come associazioni di fatto, purché non contrarie al regime, ma sono poste sotto il controllo dei prefetti che hanno il potere di commissariarle o addirittura scioglierle. Alcune mutue comunque operarono una tenace resistenza al fascismo. Vengono emanate circolari che vietano l’uso di simboli come le mani intrecciate e bandiere pre-fasciste.
Nella ricerca del consenso il regime ha necessità di andare incontro ai bisogni operai con proprie istituzioni, all’interno delle quali tenta di far confluire il patrimonio mobiliare e immobiliare delle società di mutuo soccorso. Non sempre l’operazione riesce, perché i lavoratori sono molto legati alle vecchie forme indipendenti di previdenza. Le autorità fasciste tentano misure energiche ma, di fronte alla lotta tacita o esplicita dei lavoratori nei confronti di un esproprio che non è comunque permesso dalla legge, a volte sono costrette a rinunciare. È questo il caso di CesarePozzo.
Il Sodalizio cerca di evitare problemi col regime. Vengono eliminati dallo statuto i riferimenti sindacali, la denominazione cambia da “Società di mutuo soccorso” che richiama l’Ottocento e l’avvio dell’associazionismo sindacale, a “Mutua”, quasi per confondersi con la miriade di mutue che iniziano allora a proliferare. La società di gestione dell’immobile sociale cambia nome in Società anonima immobiliare San Gregorio e il capitale sociale viene ridotto per mostrare il meno possibile la consistenza patrimoniale e non scatenare gli appetiti del fascismo.
Il Commissariamento della “Mutua Sovversiva”
La storia di CesarePozzo è però troppo significativa e ingombrante perché tali artifici possano allentare la sorveglianza sui macchinisti e fuochisti (una lettera del 1925 del capo compartimento FS di Milano definisce la Mutua “uno dei centri del sovversivismo che imperversò” dal 1919 al 1923). Come temuto, nel 1928 il prefetto scioglie il consiglio direttivo “per motivi di ordine pubblico”e nomina un commissario straordinario. Si cerca di effettuare una fusione della Mutua nel neonato Istituto nazionale di previdenza e credito delle comunicazioni, creato per i ferrovieri nell’ambito dei provvedimenti del regime tendenti ad affermare l’obbligatorietà delle prestazioni mutualistiche ancora largamente fondate sul principio volontario.
La gestione commissariale dura fino al 1936 con alterne vicende e ben tre commissari, nessuno dei quali riesce a portare a termine il progetto di fusione, a causa del forte attaccamento del personale di macchina al Sodalizio. I soci giustamente temono, in caso di fusione nell’Istituto, di perderne il controllo della propria Mutua.
Tale tenace opposizione si manifesta in maniera palese in vari momenti. Nel 1929 il primo commissario convoca un’assemblea per nominare un nuovo consiglio direttivo che si esprime contro la fusione e a favore dell’iscrizione all’Ente nazionale per la cooperazione. Ciò provoca un secondo commissariamento. Nel 1930 vengono diffusi fra i soci volantini contro la fusione e, nell’assemblea che avrebbe dovuto deliberare in merito, 39 gruppi su 63 votano contro.
Il progetto viene quindi rinviato sine die, finché nel 1935 un terzo commissario prende atto dell’impossibilità di portarlo a compimento, anche vista l’analoga vicenda che si sta verificando con l’altra grande associazione mutualistica dei ferrovieri, quella del personale viaggiante (capi treno, conduttori, frenatori). Nel 1936 il ministro della comunicazioni decide di “rinunziarvi definitivamente” e pone termine alla gestione commissariale di entrambe le mutue.
Nel 1936 si tiene l’assemblea per ricostituire il consiglio direttivo: è rieletto alla presidenza il vecchio presidente Giacomo Marcati. Viene deciso di migliorare i sussidi e, per allargare la base sociale, di proporre facilitazioni per l’ingresso dei nuovi soci e di concedere l’amnistia ai soci morosi o dimissionari. Nel Sodalizio vengono ammessi anche gli allievi fuochisti promossi alla scuola, i capi e sotto-capi deposito, oltre ai macchinisti e assistenti dei treni elettrici.
L’autonomia è salva ma al prezzo di compromessi con il regime. Nel 1942 viene inoltrata richiesta al Tribunale di Milano per la trasformazione da società di fatto a società riconosciuta in base alla legge 3818/1886. CesarePozzo può ora possedere immobili per cui viene sciolta la società di gestione della Casa dei ferrovieri, la quale passa al Sodalizio. La richiesta di riconoscimento comporta però anche l’ottemperanza alle richieste governative di ammettere solo soci di “razza ariana” ed è stabilito che le deliberazioni siano subordinate a ratifica dell’Ente fascista della cooperazione.
Si è però ormai in piena guerra mondiale e il funzionamento della società diviene sempre più difficile, tanto che il consiglio direttivo decide la sospensione delle attività sociali.
(A cura di Stafano Maggi con la collaborazione di Federico De Palo)