Insieme al professor Massimo Campedelli oggi affrontiamo un importante tema che ha suscitato tanto l’interesse degli italiani; capiamo infatti cosa sono le Case della Salute, queste organizzazioni che rappresentano un nuovo modello di assistenza sanitaria integrativa rispetto al servizio sanitario nazionale, una realtà pensata per il paziente che trova, in un unico luogo, il suo riferimento per le cure primarie.
E’ necessario focalizzare lo snodo, in termini teorici e di policy, in cui si trovano oggi le Case della Salute: un modello organizzativo per le cure primarie posto all’incrocio tra riorganizzazione (sanitaria), integrazione (sociosanitaria) e ricomposizione degli attori e delle situazioni interne-esterne (ad entrambe).
Per stare nella metafora, un incrocio piuttosto congestionato da mezzi di dimensioni e fattezze diverse, in cui i transitanti agiscono con visione spesso parziale, utilizzando codici stradali diversi e non facilmente decodificabili, quindi ad alto rischio di incidentalità.
Questo tipo di valutazione trova un primo riscontro nelle diverse prospettive che si confrontano nel dibattito in corso. Ne indichiamo due.
Case della Salute: Normativa e Organizzazione
Sulla rivista Ricerca & Pratica dell’Istituto Mario Negri da tempo si rilancia un percorso di ricerca intervento multicentrica, a carattere valutativo, condiviso da ricercatori, dirigenti sanitari e sociosanitari, operatori sociali, impegnati in contesti diversi del Paese, promosso da due realtà non profit, impegnate soprattutto nel sociosanitario e nell’esclusione sociale grave, come la Fondazione Santa Clelia di Porretta Terme e la Fondazione Casa della Carità “A. Abriani” di Milano. Elemento aggregante la preoccupazione che la realizzazione delle Case della Salute, previste in via sperimentale una decina di anni fa dal Decreto del Ministero della Salute del 10 luglio 2007 (attuativo della Legge Finanziaria 2007), e successivamente implementato ancora in via sperimentale o in via definitiva da diverse Regioni, si riduca ad una esclusiva riorganizzazione dei soli servizi sanitari, perdendo di vista l’idea di salute come diritto fondamentale e “bene comune essenziale per lo sviluppo sociale ed economico della comunità”.
La questione riguarda, pars destruens, il superamento dell’accezione meramente sanitaria del significato di salute, riconoscendo e valorizzando i “determinanti sociali che incidono nelle esistenze delle persone”, dentro una “visione unitaria che permetta di superare il tradizionale concetto di bisogno, sviluppando innanzitutto l’esercizio della responsabilità individuale e collettiva”. Da questo punto di vista, pars construens, “la salute oggi può rappresentare il luogo di una nuova identità comunitaria, in una società contraddistinta dalla diversità e dalla pluralità e può rappresentare il volano per un recupero della coesione sociale e per l’affermarsi delle relazioni di reciprocità che qualificano e sostengono il vivere stesso nella comunità”.
Ed è dentro questa visione, secondo i promotori, che la Casa della Salute può assumere le importanti funzioni di:
- realizzare una nuova identità comunitaria, nel segno di un welfare efficace e partecipato;
- rendere effettivi i diritti di cittadinanza, quelli riconosciuti e quelli negati;
- favorire la consapevolezza dei doveri di solidarietà;
- integrare le risorse del territorio, comprese quelle istituzionali, nella costruzione e nel sostegno di azioni condivise;
- riconoscere le differenze, soprattutto delle persone più deboli.
Insieme alla pubblicazione, con esplicito intento narrativo, di sei esperienze aderenti alla ricerca intervento – Borgo Reno di Bologna, Copparo di Ferrara, Parma, Chiaravalle di Catanzaro, Unione delle Colline Matildiche di Albinea di Reggio Emilia – si sta sviluppando un percorso valutativo comparativo tra le stesse, finalizzato a verificare la traducibilità delle istanze condivise sopra richiamate.
In particolare, la capacità di perseguire gli obiettivi di:
- andare verso, nel senso di far emergere i bisogni sanitari, sociali e di cittadinanza;
- cercare chi non arriva, ovvero porre in essere azioni preventive, curative e sociali che raggiungano fisicamente chi è ad alto rischio di vulnerabilità;
- sviluppare una visione condivisa di salute, promuovendo la realizzazione di interazioni di conoscenza, di collaborazione, di attività (progettuali) con la comunità e le sue Istituzioni;
- rendere operativa la sostenibilità tecnica, sociale ed economica, con strumenti adeguati per la gestione e la rendicontazione delle risorse attivate a livello di ciascuna Casa della Salute;
- favorire il protagonismo della persona, grazie allo sviluppo di percorsi di salute, diritti, inclusione sociale nella relazione che ha cura;
- favorire il protagonismo della comunità, dotandosi di strumenti formali e sostanziali di partecipazione dei cittadini nei momenti decisionali, di erogazione dei servizi e nella valutazione dei risultati.
In altri termini, un approccio che secondo il nostro schema interpretativo può collocarsi a metà strada tra l’integrazione (come cambiamento) e la ricomposizione (come funzionamento), preoccupato della imponente riorganizzazione sanitaria e fortemente caratterizzato da una visione non solo sanitaria della salute.
Diverso, più orientato alla riorganizzazione sanitaria, in questo caso inglobante l’integrazione sociosanitaria legata alle cronicità e non autosufficienze, quello proposto da Polillo e da Brambilla e Maciocco sulla scorta della elaborazione sviluppata dalla Cgil, in particolare da Bruno Benigni, originante la norma del 2007. Secondo Polillo, finalità della Casa della Salute è quella di diventare “un reale punto di riferimento per una efficace implementazione di un “modello distribuito” di servizi territoriali che si assume per intero la gestione delle patologie croniche”.
Le direttrici, da declinare e incrementare a seconda del bacino di utenza e delle dimensioni della struttura, riguardano:
- la messa in comune dello spazio fisico e degli assistiti da parte dei medici di medicina generale (MMG) con il fine di garantire la continuità delle cure h24;
- la copresenza degli specialisti ambulatoriali, anche con funzione di consulenza in tempo reale dei MMG;
- la copresenza di personale sanitario – infermieri, fisioterapisti, riabilitatori – in accordo con il MMG nel ruolo di case manager e disease menager per i pazienti complessi e affetti da pluri-patologie e relative famiglie;
- l’integrazione delle attività sanitarie con quelle socio assistenziali e di educazione ai corretti stili di vita (expanded chronic care model), grazie alla collaborazione del personale adibito alla assistenza sociale, alla educazione sanitaria e alla prevenzione, in un’ottica di valorizzazione e potenziamento delle risorse della comunità e di adeguamento dell’ambiente di vita quotidiano;
- la presenza di personale amministrativo del distretto per l’organizzazione della struttura, i registri dei pazienti, le incombenze burocratiche di vario genere;
- un setting assistenziale a complessità crescente – con laboratorio analisi, radiologia convenzionale e per immagini, centro di salute mentale, RSA, postazione del 118, ambulatorio infermieristico, ospedale di comunità a gestione infermieristica, centro di riabilitazione, punto unico di accesso, CUP, ecc.;
- l’adozione del chronic care model per la presa in carico dei pazienti affetti da patologie croniche (diabete, scompenso cardiaco, BPCO, asma e ipertensione);
- il collegamento funzionale con l’ospedale e le strutture di riabilitazione e di lungo degenza, per gestire sia le dimissioni che i ricoveri programmati o facilitati;
- l’adeguamento del sistema premiante del personale, sia dipendente che a rapporto convenzionale, sulla base degli outcome di salute raggiunti;
- la partecipazione dei cittadini – dalla definizione di bisogni alla implementazione delle attività socio-sanitarie, alla valutazione degli esiti del servizio reso e degli stessi professionisti.
Brambilla e Maciocco, ad integrazione di tale impostazione, inquadrano, corredandolo con riferimenti ad esperienze nazionali straniere (inglese, canadese, francese, americana, finlandese, spagnola, cubana) e regionali italiane (toscane ed emiliano romagnole; con relativi 8 casi di Case della Salute) il percorso scientifico e politico delle cure primarie: dal Dawson Report del 1920 ad Alma Ata del 1978, alla crisi di queste politiche sanitarie che ne è succeduta, nonché con le linee di approfondimento che nel corso dell’ultimo decennio sono via via emerse nella ricerca sanitaria: patient centered primary care; patient empowerment; expert patient; sanità di iniziativa e chronic care model; community oriented primary care.