Il nostro futuro dipende dalla biodiversità

Articolo di · 22 maggio 2021 ·

Onu: “Siamo parte della soluzione”. La biodiversità è inclusa negli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: tutelarla e ripristinarla prima che sia troppo tardi

“Siamo parte della soluzione” è il tema scelto dalle Nazioni Unite per la Giornata internazionale della biodiversità che viene celebrata il 22 maggio 2021. L’obiettivo di fermare la perdita di biodiversità e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri e d’acqua dolce sono inclusi nell’Obiettivo n. 15 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, mentre l’Obiettivo 14 riguarda i mari.

Dalle soluzioni basate sulla natura al clima – segnala l’Onu -, alle questioni sanitarie, alla sicurezza alimentare e dell’acqua, a mezzi di sussistenza sostenibili, la biodiversità è il fondamento da cui ripartire per ripristinare ecosistemi già molto deteriorati e poter ricostruire meglio.

Carlotta Lissi - biodiversità

Carlotta Lissi, biologa

La pandemia di Covid-19, inoltre, ha evidenziato a tutti, quello che gli scienziati sanno già da tempo e cioè che la perdita di biodiversità favorisce le zoonosi, le malattie che passano dagli animali all’uomo.

Carlotta Lissi, biologa nonché coordinatrice del Coordinamento donne di CesarePozzo, spiega che il Covid-19 “è una diretta conseguenza della perdita di biodiversità. Non è un evento isolato, è semmai un assaggio di quello che potremmo aspettarci in futuro se non agiamo. Le zoonosi è la trasmissione di un patogeno (virus, batterio o parassita) da un animale all’uomo. È il salto di specie (spillover) della malattia che avviene quando, a causa dell’antropizzazione degli ambienti naturali, le attività umane sono troppo a contatto con specie portatrici. La coabitazione con specie selvatiche e il contatto prolungato fa sì che questi patogeni, per lo più virus,  possano mutare per migliorarsi. È un processo evolutivo naturale, i patogeni per sopravvivere cercano di aumentare la loro capacità di infettare, passando anche ad altre specie. Con la mutazione passano dall’animale all’uomo e poi da uomo a uomo: un salto interspecifico che diventa intraspecifico”. Sono processi, quindi, del tutto normali in natura e derivano dalla degradazione degli ecosistemi e dallo sconfinamento dell’uomo nell’ ambiente naturale.

“Per questo – aggiunge Lissi – è importante concentrare il focus su quello che fattivamente a oggi possiamo fare per migliorare e preservare la situazione”. Partendo dal ripristino e dalla rigenerazione della biodiversità, già ampiamente compromessa dall’antropocene – l’epoca attuale in cui l’ambiente terrestre è fortemente condizionato dagli effetti dell’attività umana.

La risorse della biodiversità ci ricordano le Nazioni Uniti “sono i pilastri su cui costruiamo le civiltà”. Il pesce fornisce il 20% di proteine animali a circa 3 miliardi di persone. Più dell’80% della dieta umana è costituita da piante. L’80% delle persone che vivono in aree rurali di Paesi in via di sviluppo si affida a farmaci tradizionali basati sulle piante per le cure mediche di base.

“Il 40% dell’economia mondiale – spiega Lissi – è legata a doppio filo con la natura. La biodiversità è da intendersi come variabilità genetica della specie, delle specie, degli ecosistemi e dei biomi, dal piccolissimo al grande quindi. Stiamo progressivamente distruggendo e facendo molto poco, a discapito di noi stessi. La biodiversità è un capitale naturale che ci fornisce cibo, acqua, materiale di costruzione, protezione. Se distruggiamo la biodiversità, distruggiamo l’umanità. È un effetto domino: ogni volta che togliamo un tassello distruggiamo l’equilibrio su cui si basa tutto. La distruzione della biodiversità ci rende anche meno resilienti”.

biodiversità e zoonosi

Fattori che accrescono il rischio di zoonosi: deforestazione, resistenza agli antibiotici, agricoltura intensiva, commercio di animal selvatici, cambiamenti climatici (United Nations Environment Programme)

Siamo meno in grado di fronteggiare le emergenze di fenomeni naturali estremi che, di contro, diventano più frequenti, in un circolo vizioso in cui la perdita di biodiversità accresce i cambiamenti climatici e gli stessi eventi estremi (alluvioni, tsunami, inondazioni, uragani, siccità, ecc.).

Alcuni dati citati dalla biologa danno un’idea della situazione: il 75% delle terre emerse sono alterate da attività antropiche; il 60% delle barriere coralline è andato distrutto, nell’ultimo secolo si sono estinte 400 specie di vertebrati – una delle colonne portanti della catena biologica – e solo dal 2001 al 2014 si sono perse 173 specie di vertebrati; nei nostri fiumi stanno scomparendo alcuni organismi acquatici definiti bioindicatori, molto sensibili all’inquinamento e che perciò indicano come la qualità delle nostre acque si stia deteriorando.

Come uscirne allora? Da un lato con strategie di ripristino, conservazione e tutela degli ecosistemi, dall’altro, ed è forse il punto più critico, attraverso un ripensamento del modello di sviluppo. Il tutto molto in fretta: “se non si inverte la rotta – avverte Lissi – non sarà più possibile tornare indietro; siamo già in ritardo e abbiamo superato la soglia di utilizzo di risorse che la madre terra può offrire”.

Lissi cita una migliore ed efficace gestione delle aree protette e un loro aumento (del 30% sia per le aree acquatiche che per quelle terrestri in Europa); il ripristino degli ecosistemi marini e terrestri, migliori misure di conservazione e monitoraggio; una gestione più omogenea poiché “i dati arrivati in questi anni riguardano una minima parte di queste aree”; un focus sulla preservazione delle aree forestali, con regolamentazione più stretta dei processi di deforestazione, perché “la distruzione degli habitat che essi comportano, si traduce in perdita di biodiversità”, il ripristino delle foreste – “uno degli obiettivi del Green Deal dell’Unione Europea è quello di piantare tre miliardi di alberi entro il 2030 e sbloccare circa 20 miliardi di euro di fondi UE e finanziamenti pubblici e privati”.

Il dibattito sul clima è un falso dibattito, come ricorda Stella Levantesi nel suo recentissimo I bugiardi del clima. Potere, politica, psicologia di chi nega la crisi del secolo. Non c’è dibattito, perché gli scienziati sono tutti concordi. “I dati ci sono e sono di dominio pubblico – dice Lissi – la cecità che spesso si riscontra in merito è dovuta anche a interessi economici”.

L’omologazione dei processi tecnologici, le monoculture, le necessità produttive standardizzate dell’industria agroalimentare creano impoverimento del suolo e riduzione di specie animali che possono arricchirlo mantenendolo in salute come i lombrichi, che stanno diminuendo, ricorda Lissi.Giornata internazionale della biodiversità

“Serve – aggiunge – migliorare e implementare l’agricoltura biologica e ridurre del 50% l’impiego dei pesticidi nocivi; rivedere la regolamentazione della pesca intensiva e dell’agricoltura intensiva. Il fabbisogno nutrivo mondiale è coperto per la gran parte da sole 30 specie piante; nove specie rappresentano il 66% di tutta la produzione agricola, quando potrebbero essere più di 6.000. Tutto ciò porta a un impoverimento del pool genetico e quindi al fenomeno dell’erosione genetica”.

Delle 8.000 varietà di frutta presenti in Italia nell’ultimo secolo, oggi ce ne sono solo 2.000, di cui 1.500 a rischio estinzione (fonte Coldiretti). Il fenomeno di perdita di biodiversità riguarda anche gli ortaggi, i cereali, gli ulivi e i vigneti . “Il paradosso – nota Lissi – è che nei supermercati troviamo verdure e cibi strani, tropicali, in qualsiasi periodo dell’anno e fuori stagione. Preferire l’acquisto di prodotti alimentari di quel genere comporta indirettamente danni ingenti all’ambiente, al clima e quindi alla nostra salute. C’è solo apparentemente ‘varietà alimentare’, mentre in realtà è diffusa la problematica della standardizzazione dei prodotti alimentari (verdura, frutta, ecc). Ciò per motivi dovuti alla maggiore importanza data alla quantità rispetto alla qualità. Questi comportamenti rendono la dieta molto omologata. A causa delle monoculture e della già accennata omologazione dei processi tecnologici, mangiamo sempre le stesse cose, con conseguente diminuzione del nostro stato di salute in primis e di perdita di biodiversità”.

Discorso simile, e semmai ancora più impattante, quello degli allevamenti intensivi, avidi di consumo di suolo e di acqua, distruggono gli ecosistemi, aumentano l’inquinamento, favoriscono i cambiamenti climatici e riducono la biodiversità. Incroci e ibridazioni danneggiano le specie meno prestanti dal punto di vista produttivo con un ulteriore risultato di erosione genetica.

 


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