Come assicurare un’alimentazione sostenibile e sana? Quali le connessioni con la crisi climatica, il degrado dei suoli, la riduzione della biodiversità e l’aumento delle diseguaglianze? Decidere cosa mangiare è un ‘atto agricolo’ per sistemi agroalimentari che lavorino con la natura anziché contro di essa
Nella Giornata mondiale dell’alimentazione, l’indice della Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, è puntato sulla sostenibilità dei sistemi agroalimentari.
Mangiare, infatti, è solo l’ultimo anello di un complesso sistema di interdipendenze che ha effetti su crisi climatica, degrado ambientale, biodiversità, diseguaglianze sociali, condizioni economiche e salute. Per questo la Fao sottolinea come “Le nostre azioni sono il nostro futuro” e chiama a una produzione migliore, una nutrizione migliore, un ambiente migliore e una vita migliore.Per spiegare ai più piccoli la complessità dei sistemi agroalimentari e come le scelte alimentari di ciascuno possano influire sul futuro di tutti, la FAO ha realizzato un libro di attività scaricabile QUI. Sempre rivolgendosi ai giovani, la FAO ha anche prodotto dei video e indetto un concorso per la realizzazione di un poster sul viaggio degli alimenti (clicca QUI per tutte le informazioni).
Per essere sostenibile un sistema agroalimentare, spiega la Fao, deve fornire “una gran varietà di alimenti sufficienti, nutrienti e a prezzi accessibili a tutti, per cui nessuno soffra la fame o sia esposto a qualsiasi tipo di malnutrizione”. Meno sprechi di cibo significano una catena alimentare maggiormente resiliente a crisi climatiche, oscillazioni nei prezzi, pandemie, e al contempo aiutano a mitigare la crisi climatica e il degrado dei suoli.
Qualche dato fornito dalla stessa Fao indica un quadro attuale diverso e complesso. Se da un lato più di tre miliardi di persone (il 40% della popolazione mondiale) non possono permettersi un’alimentazione sana, dall’altro quasi due miliardi sono sovrappeso od obese per alimentazione scorretta e stile di vita sedentario.
Il settore agroalimentare è quello che impiega più lavoratori al mondo (più di un miliardo di persone) e ad oggi produce più di un terzo delle emissioni di gas serra imputabili all’attività umana. L’agricoltura intensiva genera deterioramento del suolo e perdita di biodiversità, mentre il 14% degli alimenti prodotti nel mondo va perso a causa di raccolto, gestione, stoccaggio e trasporto inadeguati e il 17% deperisce per mancato consumo. Il 10% della popolazione, inoltre, consuma alimenti non sicuri, contaminati da batteri, virus, parassiti o sostanze chimiche. Di contro, i piccoli agricoltori riescono ancora a produrre oltre il 33% del cibo del mondo, malgrado povertà, difficoltà di accesso a finanziamenti, formazione e tecnologie.
La crisi climatica, fra le cui determinanti la filiera agroalimentare gioca un ruolo rilevante, colpisce maggiormente le popolazioni rurali più povere, rovina i raccolti o la produttività, e può alterare la composizione delle sostanze nutritive dei principali alimenti di base, a ridurre le proteine e alcuni minerali e vitamine essenziali. Tutto ciò in un contesto in cui, da un lato rispetto agli uomini oltre il 20% delle donne tra i 25 e i 34 anni vive in estrema povertà e più del 18% della donne indigene vive con meno di 1,90 dollari al giorno, dall’altro lato il 55% della popolazione mondiale risiede in contesti urbani e per il 2050 si prevede un aumento del 68%.
“È necessario intervenire su ciò che viene prodotto aumentando la nostra domanda di cibi nutrienti prodotti in modo sostenibile – scrive la Fao -, e allo stesso tempo essere noi stessi più sostenibili nelle nostre azioni quotidiane, soprattutto riducendo le perdite e gli sprechi alimentari”.
La EU Food Policy Coalition, a cui aderisce anche l’Associazione internazionale della mutualità, sostiene che i modelli di domanda alimentare siano un risultato del sistema agroalimentare, ma allo stesso tempo possano rappresentare una leva di cambiamento. Nel recentissimo rapporto Food environments & EU food policy – discovering the role of food environments for sustainable food systems viene evidenziato come il mangiare sia un ‘atto agricolo’ che può supportare la domanda per catene di distribuzione (supply chain) e modelli di produzione che lavorino con la natura anziché contro di essa, che assicurino il sostentamento dei produttori di alimenti e dei lavoratori, e che prendano come punto di partenza il benessere degli animali.
Tuttavia lo stesso rapporto vuole mettere in luce come la diffusa narrativa sulla scelte responsabili dei consumatori non centri il punto, assolvendo le industrie alimentari e i regolatori e dando, invece, una grandissima responsabilità a cittadini e consumatori. Secondo questa impostazione il modello basato sulla scelta del consumatore sarebbe scientificamente debole perché non sempre le scelte alimentari sono effettuate a partire dalle migliori informazioni disponibili. Sarebbe, inoltre, anche eticamente discutibile perché metterebbe alla berlina i consumatori che non effettuano la ‘giusta’ scelta, come ad esempio nei casi di obesità o delle scelte alimentari delle famiglie a basso reddito. Di più, in alcuni casi sarebbero le stesse scelte offerte ai consumatori a non essere etiche o desiderabili per come il cibo è stato prodotto o distribuito.
Il rapporto suggerisce che la via migliore per cambiare i comportamenti alimentari sia quella di incidere sui fattori strutturali che guidano le scelte alimentari, secondo l’approccio degli ‘ambienti alimentari’. Questi ultimi sono definiti come contesti fisici, economici, politici e socio-culturali nei quali le persone interagiscono con il sistema agroalimentare e prendono le decisioni su cosa comprare, cucinare e consumare. Assumere un tale approccio mostra come le scelte fatte in merito al cibo siano in gran parte influenzate da questi contesti. Gli ambienti alimentari mediano tra i consumatori e i produttori, traducendo la domanda in segnali per la produzione. L’attuale spirale negativa fa sì che spesso essi favoriscano diete non sostenibili e non sane.
Per invertire la tendenza, sostiene la EU Food Policy Coalition, bisogna trasformare la spirale negativa in un circolo virtuoso in cui gli ambienti alimentari assicurino che i cibi, le bevande, i pasti sostenibili e sani siano i più diffusi, accessibili, convenienti, desiderabili e pubblicizzati. Un compito non facile che richiede politiche multiple e su più livelli: dalle politiche sulla caratteristiche dei cibi, a quelle sulle etichette, dalla pubblicità all’approvvigionamento, da quelle sulla vendita al dettaglio a quelle sui prezzi e sul commercio.
Per la EU Food Policy Coalition un ruolo cruciale e proattivo deve essere svolto dalla autorità pubbliche. Politiche vincolanti, quali misure regolatorie o fiscali, tendono a essere gli interventi più efficaci e i principali strumenti di cambiamento per sistemi alimentari sani e sostenibili. Servirebbe inoltre una maggiore integrazione con le politiche sociali, del lavoro ed economiche, oltre che educative, perché l’istruzione può agire da amplificatore delle altre politiche.